ASPI intervista…il Vigneron Luca Leggero

ASPI intervista…il Vigneron Luca LeggeroNella terra in cui vi “portiamo” con questa lettura, nascono i più grandi vini che l’Italia produce, tra Nebbioli, Dolcetti, Barbere, Erbaluce, Arneis, una morfologia molto particolare del territorio, hanno reso possibile il successo vinicolo del Piemonte.
In una zona meno blasonata di Barolo, Barbaresco e Treiso, troviamo un giovane produttore, classe 1990, con obiettivi molto importanti, con conoscenze e studi alle spalle e tanta voglia di mostrare tutta la sua potenzialità.

Luca Leggero, grazie per essere qui. Raccontaci di come nasce l’azienda

Luca Leggero: il progetto a Villareggia nasce in maniera concreta nel 2015 ma la storia di questa azienda è iniziata qualche anno prima. Il mio essere vignaiolo prende forma in queste vigne, appartenute a mio nonno, e prima ancora a mio bisnonno, quando all’età di 15 anni è cresciuta in me la passione per questa attività, iniziando a vinificare in maniera assolutamente hobbistica i frutti regalati dai miei vigneti.

Ricordo con piacere i miei inizi, un giovane ragazzo alla guida di un trattorino degli anni ’70 appartenuto al nonno, lavorazioni totalmente manuali, una piccola cantina storica del ‘400 interrata, da sempre appartenuta alla nostra famiglia

Prima del 2015 però, ricordo piacevolmente il 2011 come il mio “anno zero”, ovvero la nascita di un progetto già di per se molto professionale che sarebbe poi confluito nel piano principale “Villareggia”.

Si trattava di “agricoltura sociale” a Murazzano, un’attività con l’unico scopo di aiuto a persone con difficoltà psichiche, in un vigneto del 1940 posto ad altitudine di 750 metri s.l.m. dove la “viticoltura eroica” la fà da padrone, grazie ai terrazzamenti e alle pendenze importanti presenti.

Nel 2014 iniziammo a dedicarci ad un piccolo appezzamento vicino a Murazzano, un terreno di mezzo ettaro dove a oggi ci prendiamo cura del nostro Dolcetto producendo il vino con denominazione “Langhe Dolcetto”.

Il 2015 ha visto così l’impianto di tutti i vigneti a oggi esistenti, con un grosso sforzo fisico ed economico.

La prima annata prodotta è stata la 2019, appoggiandoci all’attuale nostro collaboratore enologico, mentre l’annata 2021 è stata la prima  completamente prodotta a Villareggia, sede della nuova cantina, riferimento odierno delle vinificazioni.

Ammetto che gli inizi non sono stati tra i più semplici, tra pandemia, gelata storica di Nebbiolo ed Erbaluce nel 2021 e grandinate. Eventi che ci hanno permesso comunque nel 2022 di fare già un passo avanti nella qualità e nella produzione biologica e biodinamica, con metodi di coltivazione che avevo cominciato a studiare già da giovane a 15/16 anni. Grazie a queste conoscenze, negli anni sono riuscito a passare dai pochi metri, quando il tutto era iniziato, per arrivare agli attuali 8 ettari e mezzo.

Ci puoi descrivere il terreno dei tuoi 8 ettari che hai appena citato?

L.L.: La zona del Canavese, soprattutto dove si erge Villareggia ovvero la parte più a sud dell’anfiteatro morenico di Ivrea, è un posto con una storia geologica davvero interessante. 60 milioni di anni fa qui esisteva il mare e circa 5 milioni di anni fa sono iniziati i depositi morenici. Il territorio si suddivide in pianeggiante nella zona più meridionale, mentre salendo troviamo una piccola collina ed entrambe le zone sono completamente moreniche. La peculiarità della pianura è il ricordo della presenza del mare, con presenza di sabbia, per passare allo strato successivo più superficiale in cui troviamo sabbie, pietre e residui morenici. Si tratta di un terreno con difficoltà nella coltivazione dovuto all’abbondanza dello scheletro morenico, pietre molto dure che ci obbligano a mantenere un inerbimento totale, ottenendo una fertilità del suolo in superficie mentre in profondità lasciamo lavorare i microrganismi, che vanno a decomporre la materia organica, cercando di creare un substrato fertile.

Le difficoltà riscontrate in queste tipologie di terreni sono appunto la maggior fertilità superficiale, con violenti stress idrici, ma allo stesso tempo ritroviamo salinità e mineralità che vengono portate nel bicchiere, facendo diventare questa caratteristica una nota distintiva dei vini del Canavese, oltre alla finezza ed eleganza che i vini sabbiosi regalano al prodotto finale.

Negli anni abbiamo notato anche un aumento della struttura nei nostri prodotti rispetto a quando si era iniziato il lavoro. Non nascondo la fatica iniziale per pulire il terreno, dove la raccolta delle pietre in vigna è stata la parte più complicata, tanto che in una fila di 200 metri avevamo raccolto 50 quintali di pietre, questo per dire tanta ricchezza di scheletro ma anche tanti fastidi come dimostrato dai carichi del rimorchio dopo un viaggetto nei filari.

Parlato dei terreni, vuoi parlarci della tua idea di vinificazione?

L.L.: Vorrei partire da questo aneddoto. Agli inizi della mia avventura, scherzando (ma non troppo) con il nostro collaboratore enologico dissi: “Il mio obiettivo è quello di produrre i migliori vini del mondo”

La vinificazione sia sui Nebbioli che su Erbaluce si ispira alla enologia francese. Sui rossi, cerco di mantenere la territorialità del Nebbiolo varietà “Picotener” (biotipo canavesano/valdostano) cercando di avvicinarmi ai vini i di Borgogna, utilizzando negli affinamenti e nelle maturazioni legno grande e anfora.

Stesso discorso per il mio bianco, dove personalmente vedo Hermitage e Chenin blanc come il livello da raggiungere con Erbaluce come mezzo per arrivare a qualità, cercando di conservare acidità e mineralità ma nello stesso tempo lavorare sulla struttura.

Nelle maturazioni dei vini bianchi la fà da padrone l’anfora e da quest’anno ho introdotto due tonneau di Francois Frères produttore in Cotè d’Or, di terzo passaggio, utilizzate per la produzione di Chablis.

Cerco di lavorare con tanta attenzione e conoscenza per ottenere uve con alte sostanze nutritive, molto sane e mantenendo una base di partenza qualitativamente molto elevata.

Non credo che mi sentirò mai arrivato, il focus rimarrà sempre quello di un vino con fama mondiale, al momento quello non è il mio posto ma con il lavoro e la dedizione chissà che un giorno lo diventerà.

La tua è una viticoltura biologica, puoi approfondire nel dettaglio il tuo modo di operare secondo questa modalità di lavoro?

 L.L. Opto per un sistema di qualità al fine di ottenere un frutto con potenzialità elevate e il metodo per me più adatto per ottenere un terreno fertile e con tanti nutrienti è quello biologico e biodinamico (non inteso quest’ultimo come “stregoneria”). Non credo che si possano produrre vini con qualità veramente importanti senza questo approccio lavorativo perché la pianta è un essere vivente, si autoregola, si stressa, va a cercare i nutrienti in profondità.

Noto anche che, soprattutto a causa del cambiamento climatico in atto, il biologico è davvero stretto all’angolo e viene sempre più duramente colpito. Vista la potenza di alcuni attacchi di peronospora e oidio, anche in momenti in cui non si dovrebbe avere una tale pressione, potrebbe far pensare (a malincuore) all’utilizzo consapevole di alcuni prodotti per non compromettere il raccolto, ma teniamo duro!

Parlato di lavoro in vigna, potresti raccontarci del tuo vino preferito, prodotto da te, per vari motivi come storia, curiosità o qualche avvenimento particolare?

L.L. Per una caratteristica o per l’altra sono innamorato di tutti i miei vini, ma ho a cuore più di tutti il “Maura Net” ,Canavese Nebbiolo prodotto con il Picotener. Questo sicuramente è il progetto più folle che ho seguito, reimpiantando il terreno con questo tipo di uva, per la produzione di una DOC molto ristretta.

In passato il comune di Villareggia ha avuto una storia molto importante, addirittura con prove documentate di scambi di vigneto risalenti al decimo secolo. Altre documentazioni risalgono al 1600/1700, addirittura nel 1800 il Comune di Villareggia veniva citato da Torino come “luogo da vini di lusso”.  Il motivo per aver impiantato dei vitigni in pianura è stato questo, in antichità esistevano già e ricevettero molti apprezzamenti.

Il nome “Maura Nen” è stato scelto perché i nonni locali, quando vennero a conoscenza della mia volontà di piantare “Picotener” in quella zona, dubitarono di questa mia scelta, visto che ormai non erano più abituati a coltivare Nebbiolo, dicendo che “non matura” (Maura Nen per l’appunto).

Parlando di abbinamenti, per tua esperienza, quali sono i piatti locali abbinabili ai tuoi prodotti?

 L.L.: Un piatto con cui ci siamo divertiti a trovare un abbinamento adeguato è il “Salmerino affumicato” accostato ad un crostino spalmato di burro, trovando l’Erbaluce ottimo in abbinamento. Questo bianco possiede un’ ottima mineralità e freschezza che vanno a giocare con la grassezza di questo piatto, per poi sorreggere il confronto con la sua aromaticità tipica e la persistenza gusto-aromatica.

Lo stesso vino è stato proposto in abbinamento a carni crude condite con olio di alta qualità, piatti anche più complessi, carni bianche cucinate in maniera sostanziosa. Penso che Erbaluce possa permettersi abbinamenti particolari, che di primo acchito non sceglieremmo.

Dei piatti tipici della tradizione, come il “Fritto misto alla Piemontese”, chiaramente l’abbinamento più consono è con il Nebbiolo, grazie alla sua acidità con la quale riesce a rinfrescare il palato dopo essersi gustati le “Fresse” (polpette che compongono il fritto misto).

Da non dimenticare anche il “Tajarin al Tartufo”, che con la parte burrosa è un buon alleato dell’acidità del nostro Nebbiolo.

Abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con Luca, un produttore giovane ma con tanta conoscenza e idee, che ha voluto riscoprire una terra “abbandonata” dalle uve, con l’obiettivo di raggiungere le vette della qualità con i suoi prodotti.

Il potenziale di una terra come quella del Piemonte può regalare molte soddisfazioni e consiglio di seguire Luca nel suo lavoro per osservare la crescita della qualità che caratterizzerà il prossimo futuro, visto il presente splendente.

Azienda Agricola Leggero
SEDE CANTINA
Via Amorosa s.n.c. – Villareggia (TO)
CAP: 10030 – ITALIA

CONTATTI

TEL.: +39 351 5478256
MAIL: info@lucaleggero.it
PEC: aziendaagricolaleggero@pec.it

A presto con una nuova intervista e…..Buon vino di qualità a tutti i lettori!

Articolo e intervista curati da Simone Della Torre

Vinitaly 2024

Anche quest’anno i soci di ASPI in regola con la quota associativa avranno la possibilità di acquistare titoli giornalieri di accesso a Vinitaly alla tariffa agevolata di 60 € . L’acquisto è riservato esclusivamente per l’accesso a Vinitaly e non è richiedibile per amici o parenti.

La richiesta deve pervenire a iscrizioni@aspi.it entro il 22 Marzo 2024. Una volta avvenuto il pagamento tramite bonifico, vi verrà fornito un codice-invito (alfanumerico, 14 caratteri) che potrete riscattare procedendo alla registrazione nella sezione ‘Riscatta Codice Invito’ del link che verrà inviato.

Attenzione!!! Come specificato sul sito di manifestazione, vi ricordiamo che le giornate di visita dedicate a chi seleziona come attività di dettaglio le voci ‘Sommelier per passione’ e ‘Azienda vitivinicola che NON espone a Vinitaly’ sono domenica 14 aprile e mercoledì 17 aprile 2024. Una volta creato il vostro profilo sul portale di biglietteria non sarà più possibile modificare i dati inseriti o resettarli.

L’ingresso a Vinitaly è riservato agli operatori che appartengono alle seguenti categorie: GDO, grossisti, import-export, rivenditori food, bar, ristoranti, hotel, catering, enoteche, wine bar, sommelier per professione, enotecnici, produttori di enotecnologie, stampa specializzata. Potranno quindi accedere tutti i giorni della manifestazione.

I biglietti a tariffa agevolata vanno richiesti preventivamente a noi; NON si genera alcuna scontistica indicando il nome di ASPI nella procedura di registrazione nella biglietteria online.
Clicca qui per scaricare il REGOLAMENTO VISITATORE 2024_ITA

Borgo Trevisan

Il Sommelier intervista….il VIGNERON: Borgo Trevisan, Gradisca d’Isonzo (GO)

In questo viaggio, ci spostiamo al confine est italiano, lì dove scorre l’Isonzo, terra contesa tra popoli e dove si sono combattute le battaglie storiche della nostra giovane Nazione.

Terra ricca di storia e con tanto da visitare, dove nascono anche vini strepitosi, dalla inconfondibile eleganza ma, al tempo stesso, strutturati. Un po’ come le persone che producono questi vini. Oggi vorrei parlarvi di una azienda a cui sono particolarmente affezionato, un po’ perchè la nostra conoscenza è stata piena di imprevisti, un po’ perchè non si può non rimanere indifferenti ai loro prodotti. Siamo in compagnia di Borgo Trevisan, con Matteo Trevisan, giovane viticoltore che si definisce un produttore “sempre attuale, ma mai di moda”, e Francesca Pulz, che ci ha aiutato nello svolgimento dell’intervista e che ringraziamo particolarmente

Matteo, è un piacere incontrarti di nuovo. Raccontaci di com’è iniziata la storia di Borgo Trevisan

Matteo Trevisan: Io rappresento la terza generazione dell’azienda, che vede la luce intorno agli anni ’40, grazie a mio nonno e mia nonna, quando arrivarono qui a Gradisca.

Inizialmente non era solo una azienda a stampo vinicolo, ma ad indirizzo misto, ovvero cerealicola, frutticola, zootecnica, cosa molto comune tra le aziende friulane in quel periodo.

Con il passare degli anni, alcuni settori sono stati chiusi all’interno della nostra azienda, fino ad arrivare agli anni 2000, dove alla guida di Borgo Trevisan c’era mio padre, che portò avanti il settore riguardante la produzione di vino, a quei tempi venduto solo come vino sfuso.

In quei primi anni, incominciai anch’io ad avvicinarmi all’ambiente della vigna e della cantina. Giorno dopo giorno venni affascinato da questo mondo mai scontato, molto dinamico, mai uguale e, respirando tutti i giorni questa inebriante atmosfera, decisi di cominciare a studiare per seguire la strada di famiglia, iscrivendomi all’istituto tecnico agrario di Gradisca.

Finiti gli studi superiori, intrapresi anche la strada universitaria per diventare enologo, ma il richiamo dei vigneti era forte. Il lavoro era pronto, mi stava aspettando anche la strada che avevo già delineato nella mia testa, ovvero diventare imbottigliatore, riuscire a trovare un’etichetta da immettere nel mercato con il nome dell’azienda. Questo diventò il mio obiettivo da raggiungere.

I primi compiti da eseguire furono scegliere le uve, il tipo di lavoro in vigna da condurre, poco alla volta, fino ad arrivare all’annata 2013 che sancì così la mia prima vinificazione. La ricordo ancora come annata spettacolare, producendo 1176 bottiglie, che facemmo assaggiare alle persone più vicine a noi, ottenendo riscontri positivi.

Le mie ambizioni erano tante, tra cui quella di confrontarmi in scenari importanti e fù così che nel 2018 -anche questa, annata particolarmente impressionante- mi convinsi che possedevamo le qualità per metterci a confronto su grandi palcoscenici e così partecipammo alla prima nostra manifestazione importante, il Vinitaly, che ci permise di riscuotere altri pareri molto positivi e ci aprì le porte a qualche mercato estero.

Grazie a tutto questo lavoro, abbiamo anche valutato la possibilità di esporre i nostri vini alla fiera di Düsseldorf (PROWEIN), nel 2024, in modo da ampliare ancora di più i mercati oltre confine.

I migliori auguri per questa tua avventura nella prossima manifestazione!

Parlaci un po’ del tuo modo di lavorare, della tua idea di vino, che caratteristiche sono importanti per le tue bottiglie?

M.T.: Mi descrivo come un vignaiolo a cui piace rivisitare l’enologia, che in un certo senso vede la sua nascita qui in Friuli.

Negli anni ci sono stati diversi cambiamenti, migliorie da parte di enologi e addetti ai lavori, fino ad oggi, dove ci aiuta molto la tecnologia, anche se, a mio modo di vedere, i mezzi tecnologici devono essere utilizzati sapientemente e i vigneron che li utilizzano sono chiamati ad avere un’ampia conoscenza e preparazione, essere un po’ agronomi, meteorologi, chimici (interpretare analisi), al fine di ottenere i risultati migliori dai mezzi a disposizione.

La mia idea di produzione è una vinificazione classica, che segue le orme di mio padre, chiaramente migliorata in alcuni aspetti tra cui una macerazione pellicolare più attenta, l’introduzione dell’utilizzo del legno (importantissima l’attenzione maniacale per l’uso della botte). Per fare un esempio, abbiamo impiegato circa 10 anni prima di trovare il legno più adatto per il nostro Merlot, questo per spiegare come deve essere attento e ben curato l’utilizzo del legno in cantina.

Il Friuli è una zona molto interessante dal punto di vista dei terreni, come descrivi quello dove sono stabilite le tue vigne?

M.T.: Dal punto di vista legislativo, i miei vigneti rientrano nella denominazione controllata Friuli Isonzo. Peculiarità di questa zona è la presenza di un corso d’acqua molto importante e per certi versi affascinante, il fiume Isonzo.

Affascinante non solo dal punto di vista storico, dove ha assistito alle due guerre mondiali combattute sui suoi argini, ma anche perchè nel tempo ha modellato e caratterizzato il territorio circostante, composto principalmente da uno scheletro sassoso, per poi scendere in profondità trovando ghiaie e ciottoli, il tutto legato con fasce argillose e limose e ovviamente è presente anche una nota calcarea, tipica delle zone modellate dai corsi d’acqua.

Altra peculiarità, questo fiume si divide in due ”zone” una più alta localizzata in Slovenia dove riceve acqua dagli affluenti, per poi entrare nel confine italico ed arrivare qui nei nostri dintorni fino a raggiungere il mare.

Proprio nelle zone nostre, attorno Gradisca, a circa metà del percorso, avviene un fenomeno particolare dovuto alla morfologia del terreno descritta precedentemente. Si riscontra una grossa perdita di acqua che va a riempire le falde, per poi nell’ultimo tratto riaffiorare nel corso naturale dell’Isonzo. In annate molto siccitose, per esempio la 2022, dove in 4 mesi non si sono verificate piogge, è stato possibile ricorrere alla irrigazione di soccorso attingendo acqua da questi serbatoi idrici naturali; invece in altre zone, ad esempio il pordenonese avevano assistito ad una completa secca dei corsi fluviali, con grossi danni a livello di raccolto.

Addentriamoci nello specifico nelle tue vigne, che tipo di vigneti possiedi e che tipo di lavoro esegui?

M.T.: I vigneti hanno le loro radici su un terreno pianeggiante, impianti datati inizio anni ’60, che mantengono quindi una loro storicità (chiaramente rinnovati nel tempo), pertanto dedico a loro particolare attenzione.

Non seguo una cultura biologica (anche se utilizziamo prodotti di sintesi) ma pongo attenzione particolare all’ambiente, avendo abbandonato i diserbi, in annate sfavorevoli o difficili cerchiamo comunque di mantenere al livello minimo i trattamenti. Una pratica a cui tengo molto è la “confusione sessuale”, un metodo capace di ridurre al minimo gli interventi con insetticidi: viene creata una nuvola di “ferormoni” che impedisce l’accoppiamento di questi animaletti. Questa soluzione è praticata in diversi settori dell’agricoltura, nei frutteti è collaudata da anni. Qui a Gradisca è utilizzata con ottimi risultati, grazie anche ad una presenza non così intensiva di questi insetti.

Mentre il lavoro in cantina come lo svolgi?

M.T.: Partendo dal presupposto che per un grande vino serve una grande uva, al 100% della sua potenzialità, è molto importante mantenere il risultato ottenuto in vigna riuscendolo a portare in cantina. Da qui il processo di vinificazione dovrà essere attento, mirato ed accurato.

La lavorazione dei nostri vini bianchi avviene totalmente in acciaio, mentre per i rossi la fermentazione avviene in acciaio, per poi seguire un affinamento in legno.

Come già detto precedentemente, il legno è un materiale affascinante e piacevole da utilizzare ma richiede una maestria importante e sapiente nell’utilizzo, infatti bisogna far in modo che questo materiale rispetti la qualità del vino, senza sovrastarne le caratteristiche organolettiche. A mio avviso si può raggiungere questo obiettivo solamente dopo un’attenta ricerca e parecchie prove con diverse tipologie di legni.

I vasi vinari come barrique, tonneau, botti grandi, non sono assolutamente prodotti naturali, ma sono una invenzione dell’uomo e secondo me il vignaiolo deve utilizzare il legno come contorno al prodotto vino.

Non nascondo che vorremmo fare delle prove anche su vini bianchi autoctoni, sperimentare con attenzione l’utilizzo della medesima tipologia di legno che  possiedo, perchè vedendo altri miei colleghi che scelgono questo tipo di affinamento, ne sono rimasto incuriosito e affascinato, constatando l’ottenimento di prodotti di altissimo interesse.

Parlando di vitigni, esperimenti e innovazione fatti in tutti questi anni, partendo da tuo nonno, sono sempre state coltivate le stesse uve oppure hai trovato qualche vitigno che ti ha dato più soddisfazione o qualcuno che ti ha, diciamo, “deluso”?

M.T.: Fin dall’epoca di mio nonno venivano vinificate due tipologie di bianco (Friulano e Malvasia) e  due di rosso (Merlot e Cabernet Franc), mentre dal mio arrivo in azienda ho subito voluto immergermi in una sfida, ovvero impiantare il Sauvignon, una varietà molto delicata con risultati interessanti e particolari; la mia sfida personale è stata quella di riuscire a coltivarla, una scommessa trovare ogni anno l’equilibrio fra gli aromi all’olfatto.

Nei rossi, oltre alle due varietà che ho voluto mantenere, è stato anche introdotto, in piccola percentuale, il Carmènére, per poter esaltare la tipicità del Cabernet Franc friulano con le classiche note erbacee.

Ti va di raccontaci un po’ del vostro vitigno principe, il Friulano, parlando delle varie sfumature e particolarità di questa fantastica uva?

M.T.: Il “Friulano uva” rispecchia molto il “Friulano persona”: delicato, permaloso, bisogna saperlo prendere. Il grappolo è compatto con acini molto vicini, questa conformazione crea problemi nell’ultima fase di maturazione, infatti si rendono necessari interventi come cimature e piccole azioni mirate, ad esempio le defogliazioni che in questo caso sono complete sui lati del filare in modo da permettere una buona ventilazione nelle uve.
La cosa importante è il diradamento, importante per il grappolo molto grande.
La maturazione non è mai ottimale soprattutto sulle ali di sinistra e di destra, per questo motivo viene effettuata quest’operazione su entrambe le parti.

Altra particolarità di questa uva è quella di avere la buccia degli acini molto sottile, infatti succede che in annate difficoltose come la 2023 un giorno il grappolo risulta senza problematiche, mentre il giorno seguente rischi di trovarti acini rotti e non sani. Non dando la massima attenzione, ci si può giocare la vendemmia del Friulano in meno di 24 ore, ma al tempo stesso quest’uva ci mette alla prova,              ci stimola perchè se cogliamo il frutto nel momento più adatto, troveremo un vino nel calice con grande complessità, con un ampio ventaglio di precursori organolettici che non riusciremmo ad ottenere se avessimo vendemmiato qualche giorno prima rispetto alla sua maturità perfetta.

Se le annate fossero tutte come la 2022, non avremmo questi grossi problemi nella maturazione e nella raccolta del Friulano.

Un piccolo pensiero sul cambio di nome del vino da Tocaji a Friulano. Dal mio punto di vista ne abbiamo tratto vantaggio, perché ora vendiamo una “Regione”, cosa che non può accadere per esempio con la Malvasia Istriana perché al primo approccio non è così chiara e immediata la provenienza di questo prodotto, oltre che essere confusa con la Malvasia dolce, invece ritroviamo una Malvasia secca e di struttura tipica del nostro territorio.

Come descriveresti il rapporto di export in Europa dei tuoi prodotti?

M.T.: Posso dire che c’è stato un export pre e post Vinitaly. Prima della manifestazione veronese eravamo presenti in Austria, nella regione della Carinzia, ma successivamente al Vinitaly il nostro mercato è stato ampliato con esportazioni in Svizzera, Germania e Olanda.

Sono contento di essere riuscito ad aprire mercati seguendo la mia metodologia. Il mio approccio con gli importatori esteri è quello di fare assaggiare subito i miei vini friulani autoctoni, con lo stile di vino che porto con me. I risultati ottenuti vedendo le richieste dall’estero, mi fanno pensare ad un riscontro positivo dai palati europei.

La mia filosofia è quella di essere un produttore “sempre attuale “ e “mai di moda”, non farò mai (ad esempio) del Pinot grigio per aprire un mercato negli Stati Uniti, ma come succede ora, le nuove esportazioni avverranno solo facendo conoscere i miei prodotti, con la mia filosofia e con vini che sono felice di aver prodotto, di identità propria e in qualche modo unici.

Non siete solo una azienda di vino, ma avete anche dei prodotti frutticoli

M.T.: Ciliegie, pesche, nettarine, albicocche di 4 varietà tra cui la Bella d’Imola, che è una varietà storica, ha un sapore dolcissimo e veniva coltivata già dalla mia famiglia negli anni ’80.

Chiudiamo con la susina, frutto fantastico molte volte associato a marmellate e confetture.      Vendiamo direttamente in azienda nel periodo estivo a chi ha voglia di venire a trovarci

ASPI è una associazione di Sommelier e chi leggerà questo articolo è anche curioso di sapere di  abbinamenti a piatti tipici regionali e il tuo rapporto con la ristorazione

M.T.: La mia idea di rapporto con la ristorazione è quella di incentivare e incoraggiare le visite in cantina, interagendo direttamente con i produttori perché, secondo me, oltre a trovare il giusto vino per l’idea di cucina che ogni chef ha, il saper raccontare la filosofia del vigneron nella creazione di una bottiglia, è un valore aggiunto e migliora l’esperienza del cliente.

Per quanto riguarda esperienze di abbinamenti, sono reduce da una verticale della mia etichetta Friulano. Con annate più evolute ho trovato molto interessante l’abbinamento ad un piatto tipico regionale, il Frico di Patate (impasto di patate, cipolla e 3-4 tipi di formaggi di varia stagionatura), piatto di struttura, con nota oleosa data dai formaggi.

Vedo la struttura, la parte secca e anche una buona acidità presente, molto abbinabile ad un piatto del con queste caratteristiche.

Parlando del Sauvignon, a mio avviso l’abbinamento più giusto è il risotto con l’asparago, perché l’asparagina che è una molecola ricca di zolfo va a legarsi in maniera ottimale a tioli e pirazine del Sauvignon.

Per i rossi, vista l’abbondanza di selvaggina presente e vista anche la stagione fredda in cui siamo, il Cabernet Franc è un vino che vedo abbinarsi bene a questi piatti di carne.

Mentre che ne pensi di una figura di un Sommelier all’interno di una azienda vitivinicola per degustazioni e comunicazione del vino?

M.T.: Piuttosto che nelle aziende vinicole, che a mio modesto parere non sarebbe poi una figura così fondamentale perché il produttore riesce di per sé a spiegare meglio il proprio prodotto, incentiverei la ristorazione ad investire in queste importanti figure, ovvero a stimolare i Sommelier ad andare nelle aziende vinicole per conoscere al meglio il prodotto e saperlo raccontare nel modo più completo possibile al cliente.

Ringraziamo Matteo Trevisan per la gentile intervista e Francesca Pulz per il prezioso aiuto.

Lasciamo i contatti dell’azienda per chi volesse approfondire i prodotti dell’azienda Borgo Trevisan, condotta da un ottima persona prima e fantastico produttore poi, senza dimenticare l’aiuto di Francesca

Az. Agr. BORGO TREVISAN
Borgo Trevisan 24
34072 Gradisca d’Isonzo (GO) – ITALIA

CONTATTI

+39 334 8652804
.

info@borgotrevisan.it
borgotrevisan.gradisca@gmail.com

 

Un caro saluto e abbraccio ai nostri lettori, augurando sempre Buon vino

Intervista e articolo a cura di Simone Della Torre

WINE PARIS 12-14 Febbraio 2024

Dal 12 al 14 Febbraio sarà Wine Paris e Vinexpo Paris 2024

Alla conferenza stampa svoltasi a Milano é intervenuto personalmente Rodolphe Lameyse, Direttore Generale di Vinexposium.

Gli argomenti sono stati diversi, Lameyse si è soffermato su quanto “Wine Paris & Vinexpo Paris svolge un ruolo essenziale, offrendo la possibilità di accedere al mercato globale per rispondere alle sfide del business odierno e alle aspettative future. Wine Paris & Vinexpo Paris offrirà a tutti gli operatori presenti un’esperienza aperta al mondo, una riflessione sul futuro della filiera e su tutte le potenzialità di un’offerta internazionale nel cuore della capitale mondiale dell’ “art de vivre”.

 Rodolphe Lameyse ha analizzato il momento attuale, dal cambiamento climatico alla situazione geopolitica, fino alle mutevoli aspettative dei consumatori.
“In questo contesto, tutta la filiera del vino e degli alcolici è alla ricerca di soluzioni che ne supportino la necessaria evoluzione. Vinexposium ha un ruolo chiave da svolgere nei confronti degli operatori in qualità di partner della filiera su scala internazionale.”
Parlando di nuove tendenze e di nuovi mercati “i vini del nuovo mondo stanno guadagnando popolarità” soprattutto vini statunitensi e cinesi, avendo conquistato diversi premi e medaglie nei vari concorsi dedicati. Anche il mercato degli alcolici è molto vivace, un’apertura mentale che premia il pisco, il mezcal e la tequila, mentre il whisky seduce gli indiani, il rum il Regno Unito e il cognac il Giappone. Senza dimenticare il sake, un distillato fermentato complesso che viene sempre più importato in Occidente.
Dati sorprendenti anche per quanto riguarda il consumo di bevande “No alcol/basso contenuto calorico”(No/Low), molto di moda tra i giovani con età compresa tra 18 e 25 anni, che costituiscono il 44% dei consumatori “No/Low” in Francia, Germania, Finlandia e Paesi Bassi, ai primi posti per la richiesta di vino analcolico.

Per quanto riguarda il vino a bassa gradazione alcolica, la Norvegia, gli Stati Uniti e i Paesi Bassi sono i maggiori consumatori.

Il mercato globale No/Low ha superato gli 11 miliardi di dollari nel 2022, con un aumento del 7% del volume in 10 mercati chiave (Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Giappone, Sud Africa, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti). I volumi delle bevande analcoliche sono aumentati del 9% nel 2022. Tra agosto 2021 e agosto 2022, le vendite totali di bevande analcoliche negli Stati Uniti sono state di 395 milioni di dollari, con una crescita in 12 mesi del +20,6%.

La manifestazione parigina (la prima per livello d’importanza del 2024) si appresta ad essere ancora più ricca di proposte, e soprattutto di novità, per quanto riguarda il numero di espositori.

I numeri per questa edizione sono esaltanti, con 3900 espositori, una superficie espositiva ampliata del 28% e più 40.000 visitatori attesi (di cui +35% internazionali).

La manifestazione vuole dare visibilità a tutti i produttori del mondo, non solo di vino ma anche di spirits. Saranno presenti 50 paesi produttori, a seguito dell’ampliamento del 72% della superficie adibita agli internazionali.

La Francia sarà presente con tutte le regioni viticole, l’Italia (secondo paese produttore, espositore al Wine Paris) localizzata nel padiglione 2.2 interamente dedicato, vedrà la Sicilia affacciarsi per la prima volta a questa importante manifestazione.

Da segnalare per mercoledì 14 l’evento “LE GRANDI DEGUSTAZIONI”, che vedrà protagonista “Gambero Rosso” al padiglione 7.

La Spagna (terzo produttore per importanza), invece, verrà collocata nel padiglione dedicato all’Italia del Sud.

Non mancheranno Belgio, Grecia, Paesi Bassi, Regno unito (solo per citarne alcuni), spostandoci oltre oceano troveremo Argentina, Brasile, Cile e Stati Uniti (che vedrà la Virginia alla sua prima apparizione), Australia e Sud Africa. Altre prime partecipazioni saranno quelle di Marocco, Moldavia, Slovacchia, Estonia.

Un’occasione unica per assaggiare le bevande provenienti da ogni angolo del pianeta.

“BE SPIRITS” sarà lo spazio per presentare e riunire gli alcolici artigianali provenienti dai 5 continenti, grazie al 27% aggiuntivo di superficie disponibile, il 50% di espositori in aggiunta rispetto all’edizione del 2023, 25 tipi di alcolici e anche di birre e sidri.

Seguiteci per tutte le altre novità.

Articolo a cura di Simone Della Torre

 

 

 

Il Sommelier e il Vigneron…intervista ad Azienda Agricola PIETRAMATTA

Il Sommelier che sia in sala, in una serata di degustazione, in un evento, è quella figura capace di raccontare i vini, conoscerli, saperli abbinare, saperli far apprezzare al cliente.

Tanti ruoli e capacità, ma il compito più affascinante e in un certo senso il più complicato, è quello di ricercare e trovare aziende enologiche che riescano a  proporre sul mercato vini capaci di emozionare, di potersi abbinare a piatti di alta cucina e migliorare qualsiasi occasione, che sia una cena tra amici, con la persona che ognuno ama o una semplice domenica in famiglia.

Per questi motivi, che oggi siamo in compagnia di Andrea Sala e della sua azienda PIETRAMATTA, situata in Cenate Sotto, provincia di Bergamo, dove non parliamo di semplici vini, ma di chicche uniche, risultato di lunghi studi, di prove, di sapienza e cultura di Andrea, di ricerca sulle sue uve.

Buonasera Andrea, ci racconti un po’ di lei e della sua azienda:

Andrea Sala: “Diciamo che la storia di Pietramatta è un po’ la mia storia, legata alla persona. Già da bambino, facevo già vino, nella casa di campagna in cui sono cresciuto e che amo. Imparo ad essere vignaiolo da autodidatta, con l’aiuto dei vigneti dei nostri contadini (non del tutto consenzienti), fino a quando io e mio fratello Alessandro,  non abbiamo iniziato in un piccolo appezzamento di terra, e da quel momento è diventato il nostro nuovo giocattolo da bambini”

E con il passare del tempo?

A.S.: “Poco alla volta ci siamo inseriti nel mondo dei grandi, facendo dei piccoli concorsi, piccole manifestazioni, entrando inizialmente nel circuito dei “vini garagisti”, senza ancora aver creato l’azienda.

Col passare degli anni ho ottenuto ottimi riconoscimenti e vinto anche dei premi, fino a quando il mio mentore, il grande enologo Mario Pojer, mi ha spronato a creare una azienda e lavorare seriamente.

Spinto dall’entusiasmo e dalla grande ammirazione che stima che ho nei confronti di Mario, ho deciso di creare la mia azienda, cominciando dalle viti piantate più di trent’anni fa.


Mi ha colpito il termine “garagista”, ci può descrivere quel periodo?

A.S.: Ho potuto sperimentare senza troppi vincoli,  provando diverse varietà di uve, diversi tipi di potature, molti tipi di vinificazioni, parecchi sistemi di allevamento, potendo così farmi un mio piccolo manuale di studi che poi mi è servito per il lavoro nella azienda e posso dire che tutta la mia esperienza è iniziata da quel bambino che giocava con le sue prime viti.

Quindi che idea di lavoro è nata per l’azienda Pietramatta?

A.S.: Diciamo che come tipo di produzione, porto avanti due line parallele, una sicuramente è qulla dei vitigni PIWI, grazie anche al supporto di Alessandro e l’altra è quella di lavorare con induttori di resistenza per praticare un sistema completamente biologico, sulle viti non cosidettie “resistenti”, visto che ,tra le altre, le mie viti di Moscato di Scanzo, sono molto vecchie e mi dispiacerebbe molto abbandonarle.

Mi piace definire la mia filosofia di lavoro “metodo integrale”.

Che cosa intende per metodo integrale?

A.S.:Il mio ragionamento è iniziato pensando ai vini spumantizzati, metodo classico, che rimanendo a contatto con i lieviti possono “riposare” senza problemi di ossidazione per diversi anni.

Il problema nasce quando avviene la sboccatura, eliminando i lieviti che fino a quel momento sono sostanzialmente antiossidanti naturali e conservanti naturali, e da lì bisogna immettere nel vino un nuovo tipo di antiossidante (solfiti per esempio).

Da questa considerazione, il mio lavoro si è concentrato nel voler riuscire a portare una piccola parte questi antiossidanti naturali direttamente in bottiglia, anche sui vini fermi. Nei miei vini quindi non ci sarà l’ossessione per la totale limpidezza dei vini a livello visivo e assenza di decadimento. Utilizzo delle tecniche naturali di illimpidimento e stabilizzazione (travasi a freddo naturale), ma porto una piccolissima parte di leggera torbidezza in bottiglia. Avrò vini non perfettamente limpidi, ma questo è il prezzo da pagare per la filosofia che ho di vino naturale e secondo me, essendo il vino naturale vivo, è in continua trasformazione, va accettata se non influisce negativamente sulla qualità del prodotto. E questo risultato si riesce ad ottenere avendo una gestione ottimale di questa trasformazione, grazie anche al sedimento del lievito, sano, pulito e che non porti ad odori sgradevoli.

Possiamo quindi parlare di una grande e approfondita conoscenza delle proprie uve e del proprio terreno?

A.S.: Certamente, ho studiato per più di 30 anni su un piccolo fazzoletto di terra e su un terreno tipico nostro che è il “Sass de Luna”, conoscendolo in tutti i suoi comportamenti in annate siccitose, fredde, piovose, calde. É un terreno particolare, che si comporta come una spugna quando piove molto, e rilascia acqua in periodi siccitosi, dal mio punto di vista è eccezionale.

Parlando di vitigni, ne ho provati differenti, ho provato a fare dei recuperi di nostri vitigni autoctoni estinti o semi estinti, ma soprattutto ho lavorato parecchio sul Moscato di Scanzo, con tutte le sottovarietà, facendo una banca dati di varietà del nostro re dei vitigni autoctoni, riuscendo anche a produrre un Moscato secco vinificato rosato, un vino originale, giocando sulla aromaticità tipica del moscato presente sulla buccia e non sulla polpa.

Grazie a questa lavorazione si possono ottenere vini moscato diversi, con più o meno struttura, aromaticità, è un prodotto di cui vado molto orgoglioso, ed è il mio prodotto con etichetta “035”.

Vista la sua conoscenza, ci può indicare qualche vitigno che le stà dando le maggiori soddisfazioni?

A.S.: Uno di questi da cui sto ottenendo ottimi risultati, è il Sauvignon Blanc, che nei miei prodotti lo utilizzo in taglio con un vitigno PIWI, il Sauvignon Nepis, che sono della stessa famiglia, ma una varietà che matura prima e una un po’ più tardiva.

Il fascino che nutro in confronto di questi vitigni è che hanno una difficoltà di lavorazione, sia in vigna che in cantina e ho voluto approfondirli, dato che il mio obiettivo è fare vini “originali” e nel nostro territorio non li produce nessuno.

Altri vitigni del territorio importanti, sono chiaramente i due Cabernet (Franc e Sauvignon) e Merlot, di cui abbiamo una lunghissima storia vitivinicola ed è giusto continuare a percorrere questa strada. Personalmente ottengo un taglio bordolese con etichetta “Sass”, al quale aggiungo una parte di Cabernet Franc, perchè avendo visitato la zona di Bordeaux, ho potuto capire l’importanza essanziale e quel compito di legante che ha il Franc nel taglio bordolese.

Sto studiando con particolare attenzione i vitigni PIWI, faccio una piccola produzione con  etichetta “Amber” e altre sperimentazioni con piccole vinificazioni al livello personale, scoprendo un mondo affascinantee al momento non esiste ancora un produttore guida o altre guide verificate.

Creatività e immaginazione in questo mondo PIWI sono caratteristiche importanti, provando diverse vinificazioni e armarsi di pazienza, visto che si parla di programmi a lungo termine e preferisco creare un prodotto solo dopo anni di vinificazioni concluse in maniera ottimale. D’altronde il bello del vino è questo, non è improvvisazione ma sono prove e studi di anni e solo alla fine si riesce ad ottenere un vino importante.

E saprebbe dirmi un vitigno che al momento non utilizza, ma che le affascinerebbe utilizzare?

A.S.: Tra gli autoctoni il Franconia e il vitigno Merera, di cui ho un solo filare e sul quale sto facendo varie sperimentazioni, è un vitigno elegante, discreto, ma con un proprio carattere e ritrovo già delle belle interpretazioni.

Passiamo ai grattacapi del Vigneron e invece alla parte belle del suo lavoro

A.S:Il cambiamento climatico in assoluto è quello che sta dando più problemi di tutti, negli anni 80 avevamo un clima più fresco e più piovoso, ora è diventato molto più complicato da gestire il lavoro in campo.

Se un tempo, per avere il minimo ciclo di trattamenti in vigna, si prendevano accordi con il terzista per determinati giorni al fine di eseguire il trattamento, ora bisogna conoscere alla perferzione i comportamenti di peronospera e oidio, se si vuole avere un uso minimo di trattamenti fitosanitari.

Detto questo, fare un biologico è diventato molto difficile ma nel mio caso, facendo biologico certificato in vigna, vado fiero nel dire che, rispetto al limite massimo concesso di 4 kg per ettaro, rimango nella soglia del chilo e mezzo di utilizzo del rame. Il risultato è quello di avere uve sane.

Ho tanto studio e anche lavoro in vigna, e sto studiando quello che sono gli induttori di resistenza, messaggi da dare alle piante avvisandole di arrivo di alcune infezioni, utilizzando dei marcatori di malattie.

Uno studio molto affascinante, perchè teoricamente porterebbe ad una viticultura più pulita e sana. Quello che più mi soddisfa, è stato ottenere un prodotto dal Sauvignon, nonostante altri produttori mi screditavano il successo, mentre invece i risultati sono arrivati.

Ci racconti delle sue esperienze all’estero

A.S.:Sono stato in vari paese, Spagna, Germania, California, ma la Francia è stato il paese che ho visitato di più ed è quello a cui ho rubato di più, hanno una grande macchina statale e di innovazione che aiuta i produttori, facendo sì che i vigneron non debbano complicarsi la vita nel cercare soluzioni ai problemi in vigna, ma seguono le indicazioni che l’ente di ricerca preposto, propone ai produttori.

In Italia invece abbiamo più spirito innovativo, infatti molti vignaioli fanno diversi prodotti, che secondo me può essere un sistema a doppio taglio. Nel senso che sarebbe più semplice per la vendita avere un prodotto più o meno unificato, in modo da non avere una vastità di etichette. Dall’altro lato, diventa affascinante per un curioso e appassionato di vino, perdersi in queste proposte.

Di interessante anche la viticoltura nei climi più freddi, come in Inghilterra dove sarà il futuro della spumantizzazione, per vedere le sfide in quelle latitudini, tra cui le gelate primaverili, il mantenimento dell’acidità e i tipi di vini che vendono.

Progetti per il futuro, è molto concentrato anche sulla sua nuova sfida, una vigna a Clusone

 A.S.: L’idea è nata nei miei viaggi in Champagne, dove negli ultimi hanno anticipato le vendemmie di circa un mese, cosa che comporta chiaramente la perdita di freschezza e acidità caratteristiche nei vini di quella zona, visti i cicli vegetativi molto corti.

Da lì è nata la mia curiosità di capire dove trovare un territorio climi un po’ freschi anche qui nella bergamasca, con una geologia e morfologia adatta ai miei obiettivi di produzione di spumante, localizzando queste caratteristiche nell’altipiano di Clusone, con altitudine non eccessiva, sistemi di colline e di colli con ampie aperture, imbattendomi per caso in un terreno di un ragazzo con un terreno di proprietà, già intenzionato nel produrre vino..

Da lì è iniziata la nostra collaborazione, scoprendo nello studio del terreno la Dolomia, una roccia ricca di magnesio. Questo comporta un’acidità del vino teoricamente alta ottenendo una grandissima base spumante ed avere una finestra di vendemmia molto ampia, permettendo così avere vini di buona acidità, ma non “verde” che farebbe perdere l’eleganza propria di un metodo classico di qualità.

La speranza è che la parte teorica si possa trasformare in pratica, partiremo da tante microvinificazioni e il percorso sarà parecchio lungo, ma rimango molto fiducioso, visto anche, notizia recente, in Lombardia sono stati approvati nuovi vitigni resistenti atti per la spumantizzazione.

Parlando de suoi attuali prodotti, ci saranno stravolgimenti oppure ha altre idee?

A.S.: A parte Amber, che è molto recente, gli altri prodotto sono frutto di sperimentazioni e affinamento nei 30 anni. Nell fututro prevedo di migliorare i dettagli e cambiare qualche finezza, grazie anche alle esperienze che conservo del passato, dalle vendemmie, alle pulizie di cantina, a qualche lavoro in vigna. Tutti dati che serviranno per migliorare ogni anno il prodotto.

Un aggettivo per definire i suoi vini?

A.S.: Sono indeciso tra verticale e vibrante. Deve dare idea di un vino fresco e vivo.

Come definisce il suo rapporto con la ristorazione, e se vuole raccontare qualche particolarità?

A.S.:La distribuzione è quasi esclusivamente nei ristoranti e per il resto con qualche mirata enoteca.

Essenzialmente perchè, per il mio punto di vista, il vino deve essere abbinabile ai piatti di cucina, e vedo in maniera importante la vendita al calice, dove aumenta la possibilità di giocare con l’abbinamento cibo-vino. Dovrebbe essere più stimolato questo tipo di servizio per permettere una conoscienza più ampia da parte del consumatore del mondo dei vini in abbinamento.

Sono presente in qualche ristorante stellato, nel milanese, bresciano, bergamasca e sono riuscito ad aprire anche il mercato estero, Olanda , Germania, Svizzera, Francia.

Partecipo volentieri anche nuovi progetti, ultimo in collaborazione con il ristorante “Zù”, i ragazzi che lo hanno in gestione, molto bravi e volenterosi, e hanno una grande attenzione alla carta dei vini.

Cito anche un altro ristorante, “Trattoria Le Miniere”, dove hanno scelto di creare una carta vini esclusivamente di prodotti bergamaschi, riducendo così la scelta alle migliori proposte della nostra zona, permettendosi così abbinamenti anche di un certo spessore.

Altri nomi con cui ho molto piacere di collaborare, sono “Contrada Bricconi”, “Ferdy Wild”, “Agriturismo il Larice”, progetti che propongono una buona cucina in mezzo al verde.

Nell’abbinamento definisco i miei vini atipici, sono adatti ad abbinamenti più “complicati”.

Per esempio nella cucina italiana, vedo ottimi abbinamenti con piatti “pop”, per esempio la pizza, Hamburger, oltre chiaramente ai classici piatti di selvaggina, tartufo bianco, ma mi piace pensare ad un mio vino abbinato a piatti più quotidiani.

Oppure anche all’abbinamento con piatti orientali, cucine esotiche, sushi.

Un altro esempio che porto spesso è l’abbinamento con le grigliate, infatti “Blo” è nato con l’idea di abbinarlo a questi piatti tipicamente estivi, quando un consumo di vino rosso di struttura diventa abbastanza complicato.

Il mio prodotto con bassa gradazione, da bere a temperatura fresca, e con una parte”ammaricante” in sostituzione della parte tannica. È un prodotto che sicuramente avrà dei cambiamenti interessanti nel tempo.

Concludiamo il nostro viaggio, ringraziando Andrea per la disponibilità e il tempo didicatoci.

Pietramatta si trova a Cenate Sotto, in una zona molto interessante della bergamasca e merita assolutamente una visita, soprattutto per chi tra gli appassionati del vino è più curioso di sapere i segreti della vinificazione.

È stato un piacere ascoltare Andrea e invito i nostri lettori a rimanere collegati per le nostre future interviste.

A presto e buon vino!
Intervista di Simone Della Torre

Il Sommelier intervista….CONSORZIO TUTELA VALCALEPIO

In compagnia del neo eletto presidente Marco Locatelli, incaricato di questa veste da 24 Ottobre 2023, facciamo un piccolo viaggio nel vasto territorio bergamsco, dove il Consorzio si pone obiettivi molto ambiziosi.
Bergamo è conosciuta per molte bellezze, da città alta, alle valli, alle prealpi orobiche, ma molto spesso ci si dimentica di una forte proposta di vini di assoluto livello.
Marco Locatelli è una persona squisita, molto competente nel suo lavoro ed è stato di una gentilezza infinita nel dedicarsi a questa intervista, già molto impegnato nel suo ruolo da vignaiolo nella sua azienda agricola “Tosca” e ora anche Presidente del Consorzio tutela Vini Valcalepio

Presidente Marco Locatelli, come si sente nella doppia veste di produttore e presidente?
M.L: É per me un immenso onore essere alla guida di questo importante Consorzio, la responsabilità di fare il presidente è maggiore del solo essere produttore consorziato e cercherò di
svolgere il mio lavoro al meglio, mantenendo ad alti livelli il nome Valcalepio, riconosciuto come sinonimo di qualità.

Un lavoro importante da costruire per il futuro?
M.L.; C’è tanto da fare all’interno del Consorzio e tanto lavoro da portare avanti, anche se abbiamo la fortuna di avere una macchina ben avviata e organizzata, con ottimi produttori.
Gli obiettivi saranno quelli di perfezionare il lavoro all’interno della Valcalepio, essere di supporto ai produttori, migliorare la presenza del Consorzio nel mondo del vino, coinvolgere di più
i produttori con tutta la loro esperienza e professionalità.

Dal 1974, come valuta la crescita del Consorzio Valcalepio?
M.L: All’inizio eravamo una ventina di associati, ad oggi siamo più o meno 80, che rappresentano circa l’80% della produzione bergamasca.
Il Consorzio, parlando anche da produttore, rappresenta un importante aiuto ai vignaioli, deve essere sinonimo di unità e di collaborazione.
Tra i produttori ci deve essere gioco di squadra, aiuto e consiglio per mantenere sempre elevata la qualità del prodotto della terra bergamasca.
Il Consorzio Valcalepio, oltre che accompagnare nel lavoro i vignaioli, deve anche difendere questo obiettivo di mantenimento della qualità e difatti, è uno dei pochi ad essere autorizzato dal Ministero, ad avere poteri di controllo, verificando che il disciplinare venga seguito alla lettera.

Qualità come obiettivo da preservare e migliorare?
M.L.: Assolutamente. La provincia di Bergamo è sempre stata caratterizzata dalla viticoltura, ha radici molto antiche, su tutto il territorio, che si sviluppa per circa 70 km, dalle sponde del lago d’Iseo, fino a ovest, sulle rive dell’Adda. Sarebbe impensabile lasciare andare una prezioso gioiello come questo territorio, ai piedi delle mura di Bergamo.
Non bisogna assolutamente dimenticare il forte apporto di viaggiatori che propone l’aereoporto
“Il Caravaggio” di Orio al Serio,che negli ultimi anni sta riportando numeri di assoluto livello. Questo deve essere una forte motivazione per attrarre gli appassionati di vino a visitare la bergamasca, non solo per le bellezze architettoniche e naturali, ma anche per una proposta enologica di assoluto livello.
Ricordiamo che la provincia di bergamo, propone sul mercato vini due denominazioni ad Origine (Terre del Colleoni o Colleoni DOC, Valcalepio DOC) e una Indicazione Geografica che è Bergamasca IGT.

Parliamo di vitigni della bergamasca, i più interessanti e innovativi?
M.L.: I vitigni più coltivati sono sicuramente Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot, per i quali riusciamo ad ottenere tagli bordolesi molto interessanti tra i nostri consorziati. Ma anche Incrocio Manzoni, Incrocio Terzi, il Franconia senza dimenticare il forte apporto del Moscato di Scanzo in tutte le sue forme.
Insomma un bel ventaglio di uve, cui si aggiungono i vitigni PIWI (resistenti) che, visto il difficoltoso cambiamento climatico in atto, potranno dare una grossa mano ai viticoltori.
Voglio anche sottolineare che la nostra zona è molto vantaggiosa, un terreno ricco e variegato, esposizione e ore luce di livello importante, un clima anche fresco nonostante le ultime estati torride e siccitose, una consapevolezza e conoscenza maggiore dei produttori, mi spingono a portare avanti la mia idea che il prodotto delle vigne di Bergamo può e deve essere riconosciuto non solo a livello nazionale, e questo sarà anche un obiettivo personale della mia guida al Consorzio.

Circa due anni fa, sono state avviate le pratiche per la richiesta di modifica del disciplinare, inserendo la menzione DOCG per la tipologia VALCALEPIO ROSSO RISERVA. Come sta progredendo questo percorso?
M.L.: È una strada lunga e complessa, perché la richiesta è stata avviata da circa un paio di anni ed ha un iter di circa 5 anni.
La Riserva di Valcalepio in questo momento, non è altro che un allungamento della maturazione del Valcalepio Classico, prima della messa in commercio.
La nuova Riserva DOCG, vuole essere una denominazione a sé stante, già a partire dai vigneti e la proposta è quella che le uve atte a diventare DOCG Riserva, dovranno essere raccolte e vinificate separatamente.
Al momento nel disciplinare Valcalepio, questa cosa non è prevista, dunque per richiedere una modifica di questa importanza nel disciplinare, le uve destinate alla Denominazione Garantita, dovranno essere separate e verificate da quelle destinate alla menzione classico, per 5 anni.
Dopo questo quinquennio, e le dovute modifiche al disciplinare, potremo ottenere la menzione DOCG, che già per la qualità che riusciamo ad ottenere dai nostri Rosso Valcalepio, siamo convinti che la denominazione garantita possa essere un faro per la produzione bergamasca e possa attirare maggiori consumatori e appassionati verso i nostri prodotti, che mi sento già di definire degni di attenzione.
Oltretutto per il lavoro, l’attenzione e la sapienza che hanno i vignaioli consorziati, sarebbe il meritato riconoscimento alla loro opera.

Altre curiosità in merito alle altre denominazioni?
M.L.: Negli ultimi anni, oltre che ad una semplificazione dei confini all’interno del disciplinare, ma visto anche le difficoltà dal punto di vista climatico, abbiamo richiesto di modificare la percentuale di Cabernet Sauvignon nel disciplinare, per dare un vincolo minore al produttore.
La richiesta avanzata è quella di portare la presenza del Cabernet dal 25% ad un 10%, potendo così alzare la percentuale di Merlot oppure introdurre altre uve autoctone o di nuovo inserimento,
con una percentuale massima del 15%.
Alcune di queste uve sono la Merera, la Franconia, Incrocio Terzi e il Rebo. Con questi vitigni vogliamo dare un indirizzo territoriale ai nostri prodotti e un aiuto maggiore alla produzione, visto i problemi legati al clima, che il Cabernet soffre.

Come si pongono i vini della Valcalepio sul mercato?
M.L. In Italia la parte del leone la fa la Lombardia, l’80% delle vendite avviene in questa regione.
A livello di ristorazione, sicuramente ci sarà la volontà di portare più vini della
Valcalepio DOC nelle carte dei ristoranti, soprattutto nei ristoranti fuori Lombardia.
C’è da segnalare con orgoglio la presenza di ristoranti bergamaschi con il 100% di vini solo del territorio.

Alcuni riconoscimenti ottenuti dalle etichette del Consorzio?
M.L.: Ne abbiamo ottenuti diversi, e vorrei ricordare una manifestazione per noi molto importante,
“Emozioni dal Mondo”, promosso dal Consorzio, uno dei tre Concorsi dedicati al
“taglio Bordolese” riconosciuto dall’ OIV (Organisation International de la Vigne et du Vin -ndr-).
Ogni anno, 4 o 5 etichette di Valcalepio ottengono dei premi, e questo ci riempe di orgoglio e ci sprona continuamente a migliorare la qualità dei prodotti.

Facciamo un salto nel mondo di ASPI che guarda principalmente al mondo della ristorazione e abbinamento vini, in che situazione si trova il vino della Valcalepio nella ristorazione e se lo possiamo trovare anche in qualche stellato?
M.L.: Per esperienza mia personale, frequentando ultimamente diversi ristoranti, trovo sempre più spesso etichette dei nostri consorziati e qualcuno anche in ristoranti prestigiosi. La parte del leone la fanno ancora i nostri prodotti a base di uve a grappoli rossi.
Non dimentichiamo che la cucina bergamasca ha alzato parecchio il livello, come possiamo anche vedere dai riconoscimenti ottenuti da Gambero Rosso, Slow Food, il Golosario. Chiaramente proponendo una cucina di livello, i nostri vini sono pronti ad affrontare questa richiesta di qualità e ho notato che, anche nel milanese, nelle carte vini sono presenti i vini della bergamasca.
L’obiettivo del Consorzio è anche quello di migliorare la presenza sul territorio italiano, promuovendo la qualità e mostrando come possa essere ben abbinabile un vino a menzione Valcalepio, Bergamasca ecc…

Come vedrebbe un Sommelier all’interno del Consorzio, in veste di comunicatore, che possa incentivare la curiosità del cliente sul vino Valcalepio DOC?
M.L.: Una validissima figura che potrebbe aiutare non solo il Consorzio Valcalepio ma qualsiasi ente nel mondo del vino. Una figura preparata, professionale, che possa raccontare il vino in modo “affascinante”, consigliare un certo tipo di abbinamento è molto importante per aggiungere valore al prodotto stesso, in questo caso i nostri vini Valcalepio. In certe situazioni ci appoggiamo a figure del genere, riscuotendo risultati positivi e nel futuro sarà sempre più importante il Sommelier come supporto.

Ringraziamo il presidente Marco Locatelli per la disponibilità.
Qui sotto trovate i contatti del Consorzio. Vi invitiamo nella terra bergamasca per un assaggio dei nostri vini, accompagnati da eccellenti formaggi, salumi, polenta e selvaggina, che da tradizione compaiono sulle tavole bergamasche.

Via Bergamo, 10 – 24060 San Paolo d’ Argon (Bg)
035.95.39.57
ctv@valcalepio.org
https://www.valcalepio.org/
Intervista e articolo di Simone Della Torre

Parliamo di….AUSTRALIA

Terra dei canguri, Oz, Down Under, questi sono alcuni nomi con cui viene chiamata una terra lontana da noi, a 14382 km, circa 24 ore di viaggio tra volo e scali aerei. Questa terra è l’Australia, è sempre stata una metà molto ambita dal punto di vista lavorativo, soprattutto negli ultimi anni e per qualsiasi persona che volesse fare una esperienza fuori dall’Europa.

Paese che, per noi appassionati di vino, significa trovare vitigni come la Syrah (o il Syrah- non giudichiamo), che sulle etichette australiane troverete nominato come Shiraz, altri vitigni come Grenache, Merlot, Cabernet Sauvignon, Mourvèdre, Pinot Nero e Tarrango (incrocio tra Touriga e Sultana).
Mentre per le uve a bacca bianca ritroviamo Chardonnay, Riesling Sauvignon, Semillon, Palomino e Pedro Ximenèz (per i vini fortificati), solo per citarne alcuni.
Vitigni che vengono praticamente coltivati tutti nella parte sud (disponendosi da est o ovest) del vastissimo Stato, dato che la superficie risulta per 2/3 arida.

Negli ultimi mesi, l’Australia è tornata a far parlar di seper uno scontro con una delle nostre DOC più famose a livello mondiale, il Prosecco.
Ancora una volta, al centro dello scontro è l’utilizzo del nome Prosecco.
In Australia, il pioniere è stato Dal Zotto, che nel 1999 nello Stato di Victoria nella King Valley, impiantò le prime vigne a Prosecco (per la quale appunto l’Australia rivendica l’utilizzo del nome per identificare il vitigno).
É notizia di pochi giorni fa, che l’Australia continuerà a produrre vini con il nome in etichetta “Prosecco” e sarà anche una lotta che vedrà la fine non a breve, visto che nel 2025 ci saranno nuove elezioni parlamentari per il Paese e quindi la battaglia continua (dura già da 5 anni e con 15 incontri istituzionali non andatia buon fine), il punto d’incontro sarà ancora molto lontano da raggiungere.

Ma a livello di produzione, dove si colloca l’Australia tra i grandi produttori mondiali?
L’ultima vendemmia Australiana, ha segnato un valore di 11 milioni di ettolitri di vino nelle cantine dei produttori (per fare una stima, l’Italia nell’ultima vendemmia ha segnato 43,9 milioni di ettolitri), rispetto alla vendemmia 2022 ha segnato un -13,1%, ma questo calo è globale, dovuto al cambiamento climatico in corso e in ahimè accelerazione.
E l’export del vino australiano? I dati riportati dal sito winetitles.com.au indicano, a fine Giugno 2022, riportano 625 milioni di litri esportati in tutto il mondo.
I dati sono altalenanti, balza all’occhio il +182% delle esportazioni in India, visto anche l’aumento del benessere delle famiglie indiane, si prevede che il settore del vino indiano crescerà di 274 milioni di dollari entro il 2026, con un incremento annuo del 29,3% nel 2022.
I 5 mercati dove l’Australia esporta di più a livello di volume sono (dati winetitles.com.au ):

  • UK con 227 milioni di litri, ed un valore di 421,5 milioni di dollari
  • USA con 139 milioni di litri, per un valore di 436 milioni di dollari
  • CANADA con 53 milioni di litri, per un valore di 174 milioni di dollari
  • NUOVA ZELANDA con 32 milioni di litri, valore di 107,6 milioni di dollari
  • GERMANIA con 32 milioni di litri, valore di 46 milioni di dollari.

Un tracollo significativo, è stato determinato dai dazi cinesi imposti nel Novembre 2020, sulle importazioni dei prodotti australiani, segnano nel continente cinese (mainland, ovvero escludendo Singapore e Honk Kong) un -96% segna il ribasso del valore dei prodotti vinicoli, dove l’isola del continente Oceania era leader del mercato cinese. Infatti la Cina assorbiva nel 2019 il 39% del volume di affari dell’export vitivinicolo australiano, un totale di poco meno di 3 miliardi di AUD.
Da notare particolarmente, come già all’inizio del 2020, causa pandemia COVID-19, l’Australia aveva richiesto l’apertura di un’indagine indipendente sullo scoppio della pandemia. Evidentemente lo Stato cinese ha reagito in maniera avversa, con diverse azioni economiche e per finire con l’imposizione dei Dazi sull’import del vino australiano.
Questo fu un duro colpo, riducendo i volumi di affari per l’Australia da 158 milioni di AUD  a 4 milioni di AUD (dai Unione Italiana Vini)
Riportando uno spezzone di un articolo di WineChannel.it:

“Nel 2019, il volume del vino australiano importato dalla Cina ha raggiunto il suo picco più alto, 147.576.600 litri, e il valore delle importazioni è stato di 864,96 milioni di dollari. La quota di mercato ha raggiunto il 35,54%, superando il primato della Francia e diventando il più grande importatore di vino della Cina” – ha dichiarato Chen Peng, presidente della Guangzhou Liquor Industry Association, – che ha aggiunto “nel 2020, fino a dicembre, il rapporto statistico mostra che il vino australiano è ancora il leader in termini di volume, e appare fiorente. Dopo il 2021, è chiaro che l’importazione di vino australiano in Cina è stata interrotta”
Vedremo come finirà questo braccio di ferro tra Cina e Australia, a colpi di Dazi.

Quali sono i vini con più valore nel mercato?
Sicuramente tra i nomi di spicco, citiamo PENFOLDS
Penfolds è una cantina vinicola australiana fondata nel 1844 dal dottor Christopher Rawson Penfold. Oggi è guidata dal capo enologo Peter Gago e produce vini di alta qualità, tra cui il famoso Grange. La cantina è stata la più grande azienda vinicola dell’Australia meridionale nel 1907 e ha avuto successo grazie alle idee innovative dell’enologo Max Schubert. Penfolds produce vini da uve miscelate per ottenere lo stile desiderato e il capo enologo è responsabile di mantenere costante lo stile dei vini.
Su principali e-commerce, possiamo trovare questo vino, che è un 100% Shiraz (Shyrah)
Il Grange di Penfolds è uno dei vini più celebri d’Australia ed è stato ufficialmente nominato come Heritage Icon of South Australia. L’annata 2018 è stata introdotta come flagship release della collezione Penfolds 2022 ed è ottenuta da Shiraz. È un vino intenso ed equilibrato, creato nel 1951, che esprime la sinergia tra i vitigni, i terroir e il clima. L’annata 2018 nasce da un inverno piovoso che ha permesso alle viti di avere un buon potenziale idrico.

Nel 2021, venne battuta in un asta completamente dedicata ai vini Penfolds, ad un prezzo di 142.131 dollari.Il motivo sta anche nella storia di questa particolare bottiglia di Penfolds Grange Hermitage Bin 1 Shiraz 1951, perché è firmata e ritappata a mano da Max Schubert in persona,il wine maker che ha creato Grange Hermitage e rivoluzionato Penfolds e non solo, tanto da venire incluso, nella lista dei 100 australiani più influenti del XX secolo dal Sydney Morning Herald, che ha ritappato la bottiglia nell’agosto 1988 nella cantina Penfolds Magill Estate di Adelaide.

Se ci spostiamo nella Claire Valley, patria del Riesling in terra australiana, di sicuro il nome più importante è quello di Jim Barry che è stato un ottimo contribuente alla crescita della regione vinicola della Clare Valley.
Il suo prodotto di punta è il “The Armagh”, 100% Shiraz che ora sul suo sito è in vendita a 400$. Da notare il tappo a vite, che ai più romantici del vino farebbe storcere il naso, ma in queste terre è la quotidianità. Se vi trovate in quelle zone, una visita da Jim Barry e ai suoi ristoranti, non deve assolutamente mancare.

Altra azienda importante, localizzata nella Eden Valley, è l’azienda Henschke, una delle prime famiglie produttrici di Australia dal 1860 circa, troverete la storia molto interessante sul sito henschke.com.au.
Qui troviamo prodotti da vitigni Riesling, Semillon, Barbera, Sirah, Tempranillo, Cabernet, Pinot nero per citarne alcuni.
Anche qui, la scelta per la chiusura delle bottiglie è privilegiato il tappo a vite e vini più famosi di Henschke sono lo Shiraz ‘Hill of Grace’ e ‘Mount Edelstone’.
Interessante anche il loro vino frizzante “Johanne Ida Selma”, con chiusura tappo a corona, ottenuto da Pinot nero, ricevendo diversi riconoscimenti.

Come potremo considerare in futuro l’Australia?
Beh è un produttore in espansione e come abbiamo visto, ci sono anche prodotti interessanti. L’export bloccato in Cina è stato sicuramente un duro colpo da affrontare, e allo stesso tempo l’Australia sta vivendo anche un momento di sovraproduzione, con una giacenza a magazzino di 2,8 miliardi di bottiglie (fonte Rabobank.com.au) dovuto anche alle vendite bloccate durante il Covid. Si pensa che questa situazione rimarrà in stallo per molto tempo, e si spera in un maggior investimento negli accordi di esportazione.
Oppure i vignaioli dovranno anche decidere di abbassare la produzione, accrescendo la qualità dei prodotti.
Vedremo nel futuro, nel frattempo personalmente la voglia di assaggiare un vino australiano a me è nata, corro dal mio enotecaro di fiducia a chiedere una bottiglia di Shiraz o Riesling australiano.
SDT.

Convocazione Assemblea Generale Ordinaria

Milano, 30 Maggio 2023

Convocazione Assemblea Generale Ordinaria
In attuazione dell’art. 16 e 17 dello Statuto Sociale, i Soci Fondatori ed i soci Attivi (art. 6 Statuto),
sono convocati alla riunione in teleconferenza in prima convocazione alla ore 12.30 ed in seconda convocazione alle ore 14.30 del lunedì 19 giugno 2023 c/o ASPI Via Simone D’Orsenigo 1 Milano (MI), per discutere e deliberare sul seguente Ordine del Giorno:
1) Comunicazione del Presidente
2) Approvazione bilancio di esercizio 2022 (art. 17 Statuto)
3) Approvazione bilancio preventivo 2023-24
4) Varie ed eventuali
Il Presidente
Giuseppe Vaccarini

Convocazione Assemblea Generale Ordinaria

In attuazione dell’art. 16 e 17 dello Statuto Sociale, i Soci Fondatori ed i soci Attivi (art. 6 Statuto), sono convocati alla riunione in teleconferenza in prima convocazione alla ore 12.30 ed in seconda convocazione alle ore 14.30 di lunedì 23 maggio 2022 c/o ASPI, via Simone d’Orsenigo n. 1, Milano (MI), per discutere e deliberare sul seguente Ordine del Giorno:
1) Comunicazione del Presidente
2) Approvazione bilancio di esercizio 2021 (art. 17 Statuto)
3) Approvazione bilancio preventivo 2022-2023
4) Varie ed eventuali

Convocazione Assemblea Ordinaria – 23 maggio 2022

Convocazione Assemblea Generale Ordinaria

In attuazione dell’art. 16 e 17 dello Statuto Sociale, i Soci Fondatori ed i soci Attivi (art. 6 Statuto), sono convocati alla riunione in teleconferenza in prima convocazione alla ore 13.30 ed in seconda convocazione, in teleconferenza, alle ore 15.30 del lunedì 24 maggio 2021 c/o ASPI, via Simone d’Orsenigo n. 1, Milano (MI), per discutere e deliberare sul seguente Ordine del Giorno:
1) Comunicazione del Presidente
2) Approvazione bilancio di esercizio 2020 (art. 17 Statuto)
3) Approvazione bilancio preventivo 2021-2022
4) Varie ed eventuali
Il Presidente
Giuseppe Vaccarini
IMPORTANTE
Chi volesse partecipare può richiedere il link Zoom a info@aspi.it
Chi fosse impossibilitato, può richiedere delega da compilare e restituire scrivendo ad info@aspi.it