Borgo Trevisan

Il Sommelier intervista….il VIGNERON: Borgo Trevisan, Gradisca d’Isonzo (GO)

In questo viaggio, ci spostiamo al confine est italiano, lì dove scorre l’Isonzo, terra contesa tra popoli e dove si sono combattute le battaglie storiche della nostra giovane Nazione.

Terra ricca di storia e con tanto da visitare, dove nascono anche vini strepitosi, dalla inconfondibile eleganza ma, al tempo stesso, strutturati. Un po’ come le persone che producono questi vini. Oggi vorrei parlarvi di una azienda a cui sono particolarmente affezionato, un po’ perchè la nostra conoscenza è stata piena di imprevisti, un po’ perchè non si può non rimanere indifferenti ai loro prodotti. Siamo in compagnia di Borgo Trevisan, con Matteo Trevisan, giovane viticoltore che si definisce un produttore “sempre attuale, ma mai di moda”, e Francesca Pulz, che ci ha aiutato nello svolgimento dell’intervista e che ringraziamo particolarmente

Matteo, è un piacere incontrarti di nuovo. Raccontaci di com’è iniziata la storia di Borgo Trevisan

Matteo Trevisan: Io rappresento la terza generazione dell’azienda, che vede la luce intorno agli anni ’40, grazie a mio nonno e mia nonna, quando arrivarono qui a Gradisca.

Inizialmente non era solo una azienda a stampo vinicolo, ma ad indirizzo misto, ovvero cerealicola, frutticola, zootecnica, cosa molto comune tra le aziende friulane in quel periodo.

Con il passare degli anni, alcuni settori sono stati chiusi all’interno della nostra azienda, fino ad arrivare agli anni 2000, dove alla guida di Borgo Trevisan c’era mio padre, che portò avanti il settore riguardante la produzione di vino, a quei tempi venduto solo come vino sfuso.

In quei primi anni, incominciai anch’io ad avvicinarmi all’ambiente della vigna e della cantina. Giorno dopo giorno venni affascinato da questo mondo mai scontato, molto dinamico, mai uguale e, respirando tutti i giorni questa inebriante atmosfera, decisi di cominciare a studiare per seguire la strada di famiglia, iscrivendomi all’istituto tecnico agrario di Gradisca.

Finiti gli studi superiori, intrapresi anche la strada universitaria per diventare enologo, ma il richiamo dei vigneti era forte. Il lavoro era pronto, mi stava aspettando anche la strada che avevo già delineato nella mia testa, ovvero diventare imbottigliatore, riuscire a trovare un’etichetta da immettere nel mercato con il nome dell’azienda. Questo diventò il mio obiettivo da raggiungere.

I primi compiti da eseguire furono scegliere le uve, il tipo di lavoro in vigna da condurre, poco alla volta, fino ad arrivare all’annata 2013 che sancì così la mia prima vinificazione. La ricordo ancora come annata spettacolare, producendo 1176 bottiglie, che facemmo assaggiare alle persone più vicine a noi, ottenendo riscontri positivi.

Le mie ambizioni erano tante, tra cui quella di confrontarmi in scenari importanti e fù così che nel 2018 -anche questa, annata particolarmente impressionante- mi convinsi che possedevamo le qualità per metterci a confronto su grandi palcoscenici e così partecipammo alla prima nostra manifestazione importante, il Vinitaly, che ci permise di riscuotere altri pareri molto positivi e ci aprì le porte a qualche mercato estero.

Grazie a tutto questo lavoro, abbiamo anche valutato la possibilità di esporre i nostri vini alla fiera di Düsseldorf (PROWEIN), nel 2024, in modo da ampliare ancora di più i mercati oltre confine.

I migliori auguri per questa tua avventura nella prossima manifestazione!

Parlaci un po’ del tuo modo di lavorare, della tua idea di vino, che caratteristiche sono importanti per le tue bottiglie?

M.T.: Mi descrivo come un vignaiolo a cui piace rivisitare l’enologia, che in un certo senso vede la sua nascita qui in Friuli.

Negli anni ci sono stati diversi cambiamenti, migliorie da parte di enologi e addetti ai lavori, fino ad oggi, dove ci aiuta molto la tecnologia, anche se, a mio modo di vedere, i mezzi tecnologici devono essere utilizzati sapientemente e i vigneron che li utilizzano sono chiamati ad avere un’ampia conoscenza e preparazione, essere un po’ agronomi, meteorologi, chimici (interpretare analisi), al fine di ottenere i risultati migliori dai mezzi a disposizione.

La mia idea di produzione è una vinificazione classica, che segue le orme di mio padre, chiaramente migliorata in alcuni aspetti tra cui una macerazione pellicolare più attenta, l’introduzione dell’utilizzo del legno (importantissima l’attenzione maniacale per l’uso della botte). Per fare un esempio, abbiamo impiegato circa 10 anni prima di trovare il legno più adatto per il nostro Merlot, questo per spiegare come deve essere attento e ben curato l’utilizzo del legno in cantina.

Il Friuli è una zona molto interessante dal punto di vista dei terreni, come descrivi quello dove sono stabilite le tue vigne?

M.T.: Dal punto di vista legislativo, i miei vigneti rientrano nella denominazione controllata Friuli Isonzo. Peculiarità di questa zona è la presenza di un corso d’acqua molto importante e per certi versi affascinante, il fiume Isonzo.

Affascinante non solo dal punto di vista storico, dove ha assistito alle due guerre mondiali combattute sui suoi argini, ma anche perchè nel tempo ha modellato e caratterizzato il territorio circostante, composto principalmente da uno scheletro sassoso, per poi scendere in profondità trovando ghiaie e ciottoli, il tutto legato con fasce argillose e limose e ovviamente è presente anche una nota calcarea, tipica delle zone modellate dai corsi d’acqua.

Altra peculiarità, questo fiume si divide in due ”zone” una più alta localizzata in Slovenia dove riceve acqua dagli affluenti, per poi entrare nel confine italico ed arrivare qui nei nostri dintorni fino a raggiungere il mare.

Proprio nelle zone nostre, attorno Gradisca, a circa metà del percorso, avviene un fenomeno particolare dovuto alla morfologia del terreno descritta precedentemente. Si riscontra una grossa perdita di acqua che va a riempire le falde, per poi nell’ultimo tratto riaffiorare nel corso naturale dell’Isonzo. In annate molto siccitose, per esempio la 2022, dove in 4 mesi non si sono verificate piogge, è stato possibile ricorrere alla irrigazione di soccorso attingendo acqua da questi serbatoi idrici naturali; invece in altre zone, ad esempio il pordenonese avevano assistito ad una completa secca dei corsi fluviali, con grossi danni a livello di raccolto.

Addentriamoci nello specifico nelle tue vigne, che tipo di vigneti possiedi e che tipo di lavoro esegui?

M.T.: I vigneti hanno le loro radici su un terreno pianeggiante, impianti datati inizio anni ’60, che mantengono quindi una loro storicità (chiaramente rinnovati nel tempo), pertanto dedico a loro particolare attenzione.

Non seguo una cultura biologica (anche se utilizziamo prodotti di sintesi) ma pongo attenzione particolare all’ambiente, avendo abbandonato i diserbi, in annate sfavorevoli o difficili cerchiamo comunque di mantenere al livello minimo i trattamenti. Una pratica a cui tengo molto è la “confusione sessuale”, un metodo capace di ridurre al minimo gli interventi con insetticidi: viene creata una nuvola di “ferormoni” che impedisce l’accoppiamento di questi animaletti. Questa soluzione è praticata in diversi settori dell’agricoltura, nei frutteti è collaudata da anni. Qui a Gradisca è utilizzata con ottimi risultati, grazie anche ad una presenza non così intensiva di questi insetti.

Mentre il lavoro in cantina come lo svolgi?

M.T.: Partendo dal presupposto che per un grande vino serve una grande uva, al 100% della sua potenzialità, è molto importante mantenere il risultato ottenuto in vigna riuscendolo a portare in cantina. Da qui il processo di vinificazione dovrà essere attento, mirato ed accurato.

La lavorazione dei nostri vini bianchi avviene totalmente in acciaio, mentre per i rossi la fermentazione avviene in acciaio, per poi seguire un affinamento in legno.

Come già detto precedentemente, il legno è un materiale affascinante e piacevole da utilizzare ma richiede una maestria importante e sapiente nell’utilizzo, infatti bisogna far in modo che questo materiale rispetti la qualità del vino, senza sovrastarne le caratteristiche organolettiche. A mio avviso si può raggiungere questo obiettivo solamente dopo un’attenta ricerca e parecchie prove con diverse tipologie di legni.

I vasi vinari come barrique, tonneau, botti grandi, non sono assolutamente prodotti naturali, ma sono una invenzione dell’uomo e secondo me il vignaiolo deve utilizzare il legno come contorno al prodotto vino.

Non nascondo che vorremmo fare delle prove anche su vini bianchi autoctoni, sperimentare con attenzione l’utilizzo della medesima tipologia di legno che  possiedo, perchè vedendo altri miei colleghi che scelgono questo tipo di affinamento, ne sono rimasto incuriosito e affascinato, constatando l’ottenimento di prodotti di altissimo interesse.

Parlando di vitigni, esperimenti e innovazione fatti in tutti questi anni, partendo da tuo nonno, sono sempre state coltivate le stesse uve oppure hai trovato qualche vitigno che ti ha dato più soddisfazione o qualcuno che ti ha, diciamo, “deluso”?

M.T.: Fin dall’epoca di mio nonno venivano vinificate due tipologie di bianco (Friulano e Malvasia) e  due di rosso (Merlot e Cabernet Franc), mentre dal mio arrivo in azienda ho subito voluto immergermi in una sfida, ovvero impiantare il Sauvignon, una varietà molto delicata con risultati interessanti e particolari; la mia sfida personale è stata quella di riuscire a coltivarla, una scommessa trovare ogni anno l’equilibrio fra gli aromi all’olfatto.

Nei rossi, oltre alle due varietà che ho voluto mantenere, è stato anche introdotto, in piccola percentuale, il Carmènére, per poter esaltare la tipicità del Cabernet Franc friulano con le classiche note erbacee.

Ti va di raccontaci un po’ del vostro vitigno principe, il Friulano, parlando delle varie sfumature e particolarità di questa fantastica uva?

M.T.: Il “Friulano uva” rispecchia molto il “Friulano persona”: delicato, permaloso, bisogna saperlo prendere. Il grappolo è compatto con acini molto vicini, questa conformazione crea problemi nell’ultima fase di maturazione, infatti si rendono necessari interventi come cimature e piccole azioni mirate, ad esempio le defogliazioni che in questo caso sono complete sui lati del filare in modo da permettere una buona ventilazione nelle uve.
La cosa importante è il diradamento, importante per il grappolo molto grande.
La maturazione non è mai ottimale soprattutto sulle ali di sinistra e di destra, per questo motivo viene effettuata quest’operazione su entrambe le parti.

Altra particolarità di questa uva è quella di avere la buccia degli acini molto sottile, infatti succede che in annate difficoltose come la 2023 un giorno il grappolo risulta senza problematiche, mentre il giorno seguente rischi di trovarti acini rotti e non sani. Non dando la massima attenzione, ci si può giocare la vendemmia del Friulano in meno di 24 ore, ma al tempo stesso quest’uva ci mette alla prova,              ci stimola perchè se cogliamo il frutto nel momento più adatto, troveremo un vino nel calice con grande complessità, con un ampio ventaglio di precursori organolettici che non riusciremmo ad ottenere se avessimo vendemmiato qualche giorno prima rispetto alla sua maturità perfetta.

Se le annate fossero tutte come la 2022, non avremmo questi grossi problemi nella maturazione e nella raccolta del Friulano.

Un piccolo pensiero sul cambio di nome del vino da Tocaji a Friulano. Dal mio punto di vista ne abbiamo tratto vantaggio, perché ora vendiamo una “Regione”, cosa che non può accadere per esempio con la Malvasia Istriana perché al primo approccio non è così chiara e immediata la provenienza di questo prodotto, oltre che essere confusa con la Malvasia dolce, invece ritroviamo una Malvasia secca e di struttura tipica del nostro territorio.

Come descriveresti il rapporto di export in Europa dei tuoi prodotti?

M.T.: Posso dire che c’è stato un export pre e post Vinitaly. Prima della manifestazione veronese eravamo presenti in Austria, nella regione della Carinzia, ma successivamente al Vinitaly il nostro mercato è stato ampliato con esportazioni in Svizzera, Germania e Olanda.

Sono contento di essere riuscito ad aprire mercati seguendo la mia metodologia. Il mio approccio con gli importatori esteri è quello di fare assaggiare subito i miei vini friulani autoctoni, con lo stile di vino che porto con me. I risultati ottenuti vedendo le richieste dall’estero, mi fanno pensare ad un riscontro positivo dai palati europei.

La mia filosofia è quella di essere un produttore “sempre attuale “ e “mai di moda”, non farò mai (ad esempio) del Pinot grigio per aprire un mercato negli Stati Uniti, ma come succede ora, le nuove esportazioni avverranno solo facendo conoscere i miei prodotti, con la mia filosofia e con vini che sono felice di aver prodotto, di identità propria e in qualche modo unici.

Non siete solo una azienda di vino, ma avete anche dei prodotti frutticoli

M.T.: Ciliegie, pesche, nettarine, albicocche di 4 varietà tra cui la Bella d’Imola, che è una varietà storica, ha un sapore dolcissimo e veniva coltivata già dalla mia famiglia negli anni ’80.

Chiudiamo con la susina, frutto fantastico molte volte associato a marmellate e confetture.      Vendiamo direttamente in azienda nel periodo estivo a chi ha voglia di venire a trovarci

ASPI è una associazione di Sommelier e chi leggerà questo articolo è anche curioso di sapere di  abbinamenti a piatti tipici regionali e il tuo rapporto con la ristorazione

M.T.: La mia idea di rapporto con la ristorazione è quella di incentivare e incoraggiare le visite in cantina, interagendo direttamente con i produttori perché, secondo me, oltre a trovare il giusto vino per l’idea di cucina che ogni chef ha, il saper raccontare la filosofia del vigneron nella creazione di una bottiglia, è un valore aggiunto e migliora l’esperienza del cliente.

Per quanto riguarda esperienze di abbinamenti, sono reduce da una verticale della mia etichetta Friulano. Con annate più evolute ho trovato molto interessante l’abbinamento ad un piatto tipico regionale, il Frico di Patate (impasto di patate, cipolla e 3-4 tipi di formaggi di varia stagionatura), piatto di struttura, con nota oleosa data dai formaggi.

Vedo la struttura, la parte secca e anche una buona acidità presente, molto abbinabile ad un piatto del con queste caratteristiche.

Parlando del Sauvignon, a mio avviso l’abbinamento più giusto è il risotto con l’asparago, perché l’asparagina che è una molecola ricca di zolfo va a legarsi in maniera ottimale a tioli e pirazine del Sauvignon.

Per i rossi, vista l’abbondanza di selvaggina presente e vista anche la stagione fredda in cui siamo, il Cabernet Franc è un vino che vedo abbinarsi bene a questi piatti di carne.

Mentre che ne pensi di una figura di un Sommelier all’interno di una azienda vitivinicola per degustazioni e comunicazione del vino?

M.T.: Piuttosto che nelle aziende vinicole, che a mio modesto parere non sarebbe poi una figura così fondamentale perché il produttore riesce di per sé a spiegare meglio il proprio prodotto, incentiverei la ristorazione ad investire in queste importanti figure, ovvero a stimolare i Sommelier ad andare nelle aziende vinicole per conoscere al meglio il prodotto e saperlo raccontare nel modo più completo possibile al cliente.

Ringraziamo Matteo Trevisan per la gentile intervista e Francesca Pulz per il prezioso aiuto.

Lasciamo i contatti dell’azienda per chi volesse approfondire i prodotti dell’azienda Borgo Trevisan, condotta da un ottima persona prima e fantastico produttore poi, senza dimenticare l’aiuto di Francesca

Az. Agr. BORGO TREVISAN
Borgo Trevisan 24
34072 Gradisca d’Isonzo (GO) – ITALIA

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+39 334 8652804
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info@borgotrevisan.it
borgotrevisan.gradisca@gmail.com

 

Un caro saluto e abbraccio ai nostri lettori, augurando sempre Buon vino

Intervista e articolo a cura di Simone Della Torre

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