Il Sommelier che sia in sala, in una serata di degustazione, in un evento, è quella figura capace di raccontare i vini, conoscerli, saperli abbinare, saperli far apprezzare al cliente.
Tanti ruoli e capacità, ma il compito più affascinante e in un certo senso il più complicato, è quello di ricercare e trovare aziende enologiche che riescano a proporre sul mercato vini capaci di emozionare, di potersi abbinare a piatti di alta cucina e migliorare qualsiasi occasione, che sia una cena tra amici, con la persona che ognuno ama o una semplice domenica in famiglia.
Per questi motivi, che oggi siamo in compagnia di Andrea Sala e della sua azienda PIETRAMATTA, situata in Cenate Sotto, provincia di Bergamo, dove non parliamo di semplici vini, ma di chicche uniche, risultato di lunghi studi, di prove, di sapienza e cultura di Andrea, di ricerca sulle sue uve.
Buonasera Andrea, ci racconti un po’ di lei e della sua azienda:
Andrea Sala: “Diciamo che la storia di Pietramatta è un po’ la mia storia, legata alla persona. Già da bambino, facevo già vino, nella casa di campagna in cui sono cresciuto e che amo. Imparo ad essere vignaiolo da autodidatta, con l’aiuto dei vigneti dei nostri contadini (non del tutto consenzienti), fino a quando io e mio fratello Alessandro, non abbiamo iniziato in un piccolo appezzamento di terra, e da quel momento è diventato il nostro nuovo giocattolo da bambini”
E con il passare del tempo?
A.S.: “Poco alla volta ci siamo inseriti nel mondo dei grandi, facendo dei piccoli concorsi, piccole manifestazioni, entrando inizialmente nel circuito dei “vini garagisti”, senza ancora aver creato l’azienda.
Col passare degli anni ho ottenuto ottimi riconoscimenti e vinto anche dei premi, fino a quando il mio mentore, il grande enologo Mario Pojer, mi ha spronato a creare una azienda e lavorare seriamente.
Spinto dall’entusiasmo e dalla grande ammirazione che stima che ho nei confronti di Mario, ho deciso di creare la mia azienda, cominciando dalle viti piantate più di trent’anni fa.
Mi ha colpito il termine “garagista”, ci può descrivere quel periodo?
A.S.: Ho potuto sperimentare senza troppi vincoli, provando diverse varietà di uve, diversi tipi di potature, molti tipi di vinificazioni, parecchi sistemi di allevamento, potendo così farmi un mio piccolo manuale di studi che poi mi è servito per il lavoro nella azienda e posso dire che tutta la mia esperienza è iniziata da quel bambino che giocava con le sue prime viti.
Quindi che idea di lavoro è nata per l’azienda Pietramatta?
A.S.: Diciamo che come tipo di produzione, porto avanti due line parallele, una sicuramente è qulla dei vitigni PIWI, grazie anche al supporto di Alessandro e l’altra è quella di lavorare con induttori di resistenza per praticare un sistema completamente biologico, sulle viti non cosidettie “resistenti”, visto che ,tra le altre, le mie viti di Moscato di Scanzo, sono molto vecchie e mi dispiacerebbe molto abbandonarle.
Mi piace definire la mia filosofia di lavoro “metodo integrale”.
Che cosa intende per metodo integrale?
A.S.:Il mio ragionamento è iniziato pensando ai vini spumantizzati, metodo classico, che rimanendo a contatto con i lieviti possono “riposare” senza problemi di ossidazione per diversi anni.
Il problema nasce quando avviene la sboccatura, eliminando i lieviti che fino a quel momento sono sostanzialmente antiossidanti naturali e conservanti naturali, e da lì bisogna immettere nel vino un nuovo tipo di antiossidante (solfiti per esempio).
Da questa considerazione, il mio lavoro si è concentrato nel voler riuscire a portare una piccola parte questi antiossidanti naturali direttamente in bottiglia, anche sui vini fermi. Nei miei vini quindi non ci sarà l’ossessione per la totale limpidezza dei vini a livello visivo e assenza di decadimento. Utilizzo delle tecniche naturali di illimpidimento e stabilizzazione (travasi a freddo naturale), ma porto una piccolissima parte di leggera torbidezza in bottiglia. Avrò vini non perfettamente limpidi, ma questo è il prezzo da pagare per la filosofia che ho di vino naturale e secondo me, essendo il vino naturale vivo, è in continua trasformazione, va accettata se non influisce negativamente sulla qualità del prodotto. E questo risultato si riesce ad ottenere avendo una gestione ottimale di questa trasformazione, grazie anche al sedimento del lievito, sano, pulito e che non porti ad odori sgradevoli.
Possiamo quindi parlare di una grande e approfondita conoscenza delle proprie uve e del proprio terreno?
A.S.: Certamente, ho studiato per più di 30 anni su un piccolo fazzoletto di terra e su un terreno tipico nostro che è il “Sass de Luna”, conoscendolo in tutti i suoi comportamenti in annate siccitose, fredde, piovose, calde. É un terreno particolare, che si comporta come una spugna quando piove molto, e rilascia acqua in periodi siccitosi, dal mio punto di vista è eccezionale.
Parlando di vitigni, ne ho provati differenti, ho provato a fare dei recuperi di nostri vitigni autoctoni estinti o semi estinti, ma soprattutto ho lavorato parecchio sul Moscato di Scanzo, con tutte le sottovarietà, facendo una banca dati di varietà del nostro re dei vitigni autoctoni, riuscendo anche a produrre un Moscato secco vinificato rosato, un vino originale, giocando sulla aromaticità tipica del moscato presente sulla buccia e non sulla polpa.
Grazie a questa lavorazione si possono ottenere vini moscato diversi, con più o meno struttura, aromaticità, è un prodotto di cui vado molto orgoglioso, ed è il mio prodotto con etichetta “035”.
Vista la sua conoscenza, ci può indicare qualche vitigno che le stà dando le maggiori soddisfazioni?
A.S.: Uno di questi da cui sto ottenendo ottimi risultati, è il Sauvignon Blanc, che nei miei prodotti lo utilizzo in taglio con un vitigno PIWI, il Sauvignon Nepis, che sono della stessa famiglia, ma una varietà che matura prima e una un po’ più tardiva.
Il fascino che nutro in confronto di questi vitigni è che hanno una difficoltà di lavorazione, sia in vigna che in cantina e ho voluto approfondirli, dato che il mio obiettivo è fare vini “originali” e nel nostro territorio non li produce nessuno.
Altri vitigni del territorio importanti, sono chiaramente i due Cabernet (Franc e Sauvignon) e Merlot, di cui abbiamo una lunghissima storia vitivinicola ed è giusto continuare a percorrere questa strada. Personalmente ottengo un taglio bordolese con etichetta “Sass”, al quale aggiungo una parte di Cabernet Franc, perchè avendo visitato la zona di Bordeaux, ho potuto capire l’importanza essanziale e quel compito di legante che ha il Franc nel taglio bordolese.
Sto studiando con particolare attenzione i vitigni PIWI, faccio una piccola produzione con etichetta “Amber” e altre sperimentazioni con piccole vinificazioni al livello personale, scoprendo un mondo affascinantee al momento non esiste ancora un produttore guida o altre guide verificate.
Creatività e immaginazione in questo mondo PIWI sono caratteristiche importanti, provando diverse vinificazioni e armarsi di pazienza, visto che si parla di programmi a lungo termine e preferisco creare un prodotto solo dopo anni di vinificazioni concluse in maniera ottimale. D’altronde il bello del vino è questo, non è improvvisazione ma sono prove e studi di anni e solo alla fine si riesce ad ottenere un vino importante.
E saprebbe dirmi un vitigno che al momento non utilizza, ma che le affascinerebbe utilizzare?
A.S.: Tra gli autoctoni il Franconia e il vitigno Merera, di cui ho un solo filare e sul quale sto facendo varie sperimentazioni, è un vitigno elegante, discreto, ma con un proprio carattere e ritrovo già delle belle interpretazioni.
Passiamo ai grattacapi del Vigneron e invece alla parte belle del suo lavoro
A.S:Il cambiamento climatico in assoluto è quello che sta dando più problemi di tutti, negli anni 80 avevamo un clima più fresco e più piovoso, ora è diventato molto più complicato da gestire il lavoro in campo.
Se un tempo, per avere il minimo ciclo di trattamenti in vigna, si prendevano accordi con il terzista per determinati giorni al fine di eseguire il trattamento, ora bisogna conoscere alla perferzione i comportamenti di peronospera e oidio, se si vuole avere un uso minimo di trattamenti fitosanitari.
Detto questo, fare un biologico è diventato molto difficile ma nel mio caso, facendo biologico certificato in vigna, vado fiero nel dire che, rispetto al limite massimo concesso di 4 kg per ettaro, rimango nella soglia del chilo e mezzo di utilizzo del rame. Il risultato è quello di avere uve sane.
Ho tanto studio e anche lavoro in vigna, e sto studiando quello che sono gli induttori di resistenza, messaggi da dare alle piante avvisandole di arrivo di alcune infezioni, utilizzando dei marcatori di malattie.
Uno studio molto affascinante, perchè teoricamente porterebbe ad una viticultura più pulita e sana. Quello che più mi soddisfa, è stato ottenere un prodotto dal Sauvignon, nonostante altri produttori mi screditavano il successo, mentre invece i risultati sono arrivati.
Ci racconti delle sue esperienze all’estero
A.S.:Sono stato in vari paese, Spagna, Germania, California, ma la Francia è stato il paese che ho visitato di più ed è quello a cui ho rubato di più, hanno una grande macchina statale e di innovazione che aiuta i produttori, facendo sì che i vigneron non debbano complicarsi la vita nel cercare soluzioni ai problemi in vigna, ma seguono le indicazioni che l’ente di ricerca preposto, propone ai produttori.
In Italia invece abbiamo più spirito innovativo, infatti molti vignaioli fanno diversi prodotti, che secondo me può essere un sistema a doppio taglio. Nel senso che sarebbe più semplice per la vendita avere un prodotto più o meno unificato, in modo da non avere una vastità di etichette. Dall’altro lato, diventa affascinante per un curioso e appassionato di vino, perdersi in queste proposte.
Di interessante anche la viticoltura nei climi più freddi, come in Inghilterra dove sarà il futuro della spumantizzazione, per vedere le sfide in quelle latitudini, tra cui le gelate primaverili, il mantenimento dell’acidità e i tipi di vini che vendono.
Progetti per il futuro, è molto concentrato anche sulla sua nuova sfida, una vigna a Clusone
A.S.: L’idea è nata nei miei viaggi in Champagne, dove negli ultimi hanno anticipato le vendemmie di circa un mese, cosa che comporta chiaramente la perdita di freschezza e acidità caratteristiche nei vini di quella zona, visti i cicli vegetativi molto corti.
Da lì è nata la mia curiosità di capire dove trovare un territorio climi un po’ freschi anche qui nella bergamasca, con una geologia e morfologia adatta ai miei obiettivi di produzione di spumante, localizzando queste caratteristiche nell’altipiano di Clusone, con altitudine non eccessiva, sistemi di colline e di colli con ampie aperture, imbattendomi per caso in un terreno di un ragazzo con un terreno di proprietà, già intenzionato nel produrre vino..
Da lì è iniziata la nostra collaborazione, scoprendo nello studio del terreno la Dolomia, una roccia ricca di magnesio. Questo comporta un’acidità del vino teoricamente alta ottenendo una grandissima base spumante ed avere una finestra di vendemmia molto ampia, permettendo così avere vini di buona acidità, ma non “verde” che farebbe perdere l’eleganza propria di un metodo classico di qualità.
La speranza è che la parte teorica si possa trasformare in pratica, partiremo da tante microvinificazioni e il percorso sarà parecchio lungo, ma rimango molto fiducioso, visto anche, notizia recente, in Lombardia sono stati approvati nuovi vitigni resistenti atti per la spumantizzazione.
Parlando de suoi attuali prodotti, ci saranno stravolgimenti oppure ha altre idee?
A.S.: A parte Amber, che è molto recente, gli altri prodotto sono frutto di sperimentazioni e affinamento nei 30 anni. Nell fututro prevedo di migliorare i dettagli e cambiare qualche finezza, grazie anche alle esperienze che conservo del passato, dalle vendemmie, alle pulizie di cantina, a qualche lavoro in vigna. Tutti dati che serviranno per migliorare ogni anno il prodotto.
Un aggettivo per definire i suoi vini?
A.S.: Sono indeciso tra verticale e vibrante. Deve dare idea di un vino fresco e vivo.
Come definisce il suo rapporto con la ristorazione, e se vuole raccontare qualche particolarità?
A.S.:La distribuzione è quasi esclusivamente nei ristoranti e per il resto con qualche mirata enoteca.
Essenzialmente perchè, per il mio punto di vista, il vino deve essere abbinabile ai piatti di cucina, e vedo in maniera importante la vendita al calice, dove aumenta la possibilità di giocare con l’abbinamento cibo-vino. Dovrebbe essere più stimolato questo tipo di servizio per permettere una conoscienza più ampia da parte del consumatore del mondo dei vini in abbinamento.
Sono presente in qualche ristorante stellato, nel milanese, bresciano, bergamasca e sono riuscito ad aprire anche il mercato estero, Olanda , Germania, Svizzera, Francia.
Partecipo volentieri anche nuovi progetti, ultimo in collaborazione con il ristorante “Zù”, i ragazzi che lo hanno in gestione, molto bravi e volenterosi, e hanno una grande attenzione alla carta dei vini.
Cito anche un altro ristorante, “Trattoria Le Miniere”, dove hanno scelto di creare una carta vini esclusivamente di prodotti bergamaschi, riducendo così la scelta alle migliori proposte della nostra zona, permettendosi così abbinamenti anche di un certo spessore.
Altri nomi con cui ho molto piacere di collaborare, sono “Contrada Bricconi”, “Ferdy Wild”, “Agriturismo il Larice”, progetti che propongono una buona cucina in mezzo al verde.
Nell’abbinamento definisco i miei vini atipici, sono adatti ad abbinamenti più “complicati”.
Per esempio nella cucina italiana, vedo ottimi abbinamenti con piatti “pop”, per esempio la pizza, Hamburger, oltre chiaramente ai classici piatti di selvaggina, tartufo bianco, ma mi piace pensare ad un mio vino abbinato a piatti più quotidiani.
Oppure anche all’abbinamento con piatti orientali, cucine esotiche, sushi.
Un altro esempio che porto spesso è l’abbinamento con le grigliate, infatti “Blo” è nato con l’idea di abbinarlo a questi piatti tipicamente estivi, quando un consumo di vino rosso di struttura diventa abbastanza complicato.
Il mio prodotto con bassa gradazione, da bere a temperatura fresca, e con una parte”ammaricante” in sostituzione della parte tannica. È un prodotto che sicuramente avrà dei cambiamenti interessanti nel tempo.
Concludiamo il nostro viaggio, ringraziando Andrea per la disponibilità e il tempo didicatoci.
Pietramatta si trova a Cenate Sotto, in una zona molto interessante della bergamasca e merita assolutamente una visita, soprattutto per chi tra gli appassionati del vino è più curioso di sapere i segreti della vinificazione.
È stato un piacere ascoltare Andrea e invito i nostri lettori a rimanere collegati per le nostre future interviste.
A presto e buon vino!
Intervista di Simone Della Torre