ASPI intervista…Sergio Mottura

Scendendo lungo la nostra penisola, attraversando verso sud una delle regioni italiane più conosciute a livello vinicolo, la Toscana, ci si addentra in un territorio che dei vini bianchi ha fatto un marchio distintivo, il Lazio.

Per raggiungere l’azienda che oggi scopriremo in questa lettura, dobbiamo raggiungere il lago di origine vulcanica più grande d’Europa, il lago di Bolsena, verso il confine con un’altra regione produttrice di importati vini quale é l’Umbria.

Strade bianche tra le campagne e tanto verde ci conducono all’ azienda “Sergio Mottura”, nata nel 1933 da un prozio di origine piemontese, che dal 1963 produce vini con la propria etichetta secondo una viticoltura prima biologica, convertita nel tempo in agricoltura sostenibile, valorizzando un vitigno come il Grechetto, rendendolo il principe da custodire e tramandare nel futuro. Perchè questo vitigno? Come vedremo, si trasforma in vini entusiasmanti.

Un piccolo aneddoto. Pochi giorni prima di rilasciare l’intervista, “Mottura” si è vista sottrarre 6000 bottiglie dalla cantina, per questo rinnoviamo la nostra solidarietà alla famiglia, augurando loro di riprendersi al meglio da questa disavventura.

Grazie Giuseppe per il tempo concesso, ci racconti la nascita e la storia dell’ azienda Mottura.

Giuseppe Mottura: La nascita avviene nel 1933, non da una famiglia di origine laziale bensì piemontese. Mio prozio, di professione ingegnere civile, trovatosi in questa terra laziale per motivi lavorativi, investì in questo territorio acquistando un’azienda locale.

Da quel momento nasce la storia laziale della famiglia Mottura, che per i primi 30 anni di attività (fino al 1963) vede la subordinazione ad un contratto di mezzadria, con 21 famiglie di mezzadri impegnate nel lavoro nei campi. In questa situazione, il mio prozio continuò nella sua normale attività di ingegnere civile fino al settembre del 1964 quando venne abolita la mezzadria, mettendo le basi per un nuovo scenario nel campo agricolo.

Grazie al forte avanzamento dell’industria, molti contadini e agricoltori abbandonarono le terre per trovare lavoro nelle fabbriche e in quel momento la completa gestione dell’azienda agricola passò nelle nostre mani. Mio padre Sergio, all’epoca 21enne, si trasferì da Torino in queste belle terre per occuparsi della gestione aziendale approcciando da subito la produzione vinicola.
Fu uno dei primi a ragionare per una “viticoltura moderna” intesa a filare, dato che in queste terre le pratiche vedevano una viticoltura maritata, soprattutto a Olmi.
Fino a metà anni ’80 il nostro lavoro era principalmente fornire vino a grandi aziende commerciali, aventi l’unico obiettivo di imbottigliare e commercializzare prodotti vinicoli a marchio proprio,
come “Castello della Sala” di proprietà Antinori (azienda di riferimento della zona), con cui noi collaborammo alla produzione di Orvieto DOC, considerato allora come uno dei bianchi più importanti in Italia.
Tant’è che Giacomo Tachis, allora enologo di Antinori, veniva nella nostra cantina per consigliarci e guidarci nella fermentazione.

Dal 1985 circa, Sergio si decise ad imbottigliare i propri vini, creando definitivamente l’azienda “Mottura”, completando la sua figura di vignaiolo, arrivando a commercializzare le sue prime bottiglie nell’anno 1990, come “Orvieto DOC” e “Grecchetto” in purezza.

Molto curiosa la scelta di un simbolo come l’istrice, a cosa si deve?

G.M.: L’attenzione di mio padre per una consapevole cura del terreno, un’attenta conduzione agronomica, sancì l’inizio della conversione al biologico nel 1991, grazie anche al nuovo regolamento della Comunità Europea sulla produzione biologica.

Nel 1996 dunque avviene la certificazione dell’azienda e proprio in questi anni di conversione avvenne il ritorno di questi simpatici animaletti nei vigneti e nelle coltivazioni, cosa che la chimica ne aveva invece favorito l’allontanamento.
La ritrovata vicinanza fra le due nature venne vista come premio per l’attenzione data dal biologico alla terra, portando mio padre ad eleggere come simbolo l’istrice, a sottolineare come la scelta di un lavoro “green” abbia portato ottimi risultati.

Questo mi fa capire quanto la vostra azienda tenga alla cura del territorio.

G.M.” Assolutamente. Siamo biologici ma vogliamo puntare a diventare sostenibili.

Il biologico di 30 anni fa non tiene conto della sostenibilità. Negli anni ’90 contava solamente la cura del terreno e la sanità del prodotto, come da linee guida della certificazione. Oggi la sostenibilità si è allargata al consumo di energie, all’emissioni in atmosfera, alla salvaguardia della salute delle persone coinvolte nei campi.

Insomma, vogliamo aggiornarci, seguendo la filosofia di innovazione “Mottura”.

Col tempo gli investimenti sono stati indirizzati a 200 m2 di nuovi impianti fotovoltaici, creazione di un impianto smaltimento acque reflue, tendiamo ad assumere dipendenti e trattarli nel miglior modo possibile, tutte peculiarità non tenute in considerazione da una certificazione biologica a noi “stretta” in quanto non ci sentiamo rappresentati da indicazioni di quel tipo.

Quali sono le pratiche agricole che preferite seguire in vigna?

G.M. Visto il nostro approccio biologico, l’inerbimento permanente è una di quelle pratiche che contraddistinguono le nostre vigne. Tengo a precisare che trattasi di “inerbimento spontaneo” rigenerato negli anni, ovvero senza alcun intervento a livello chimico. Da circa 30 anni sono stati eliminati insetticidi, pesticidi, erbicidi, diserbanti riscontrando comunque l’assenza di insetti indesiderati. Veniamo alla lotta degli odiosi “funghi”, peronospora e oidio, dove la nostra azione prevede l’utilizzo di zolfo, rimanendo nel tema del naturale.

La peronospora, invece, crea un grosso problema di sostenibilità: le condizioni del biologico costringono l’utilizzo del rame, ma negli anni questo metallo pesante si accumula nel terreno in alte quantità e questo ci ha spinto 5 anni fa a cercare alternative naturali al rame, individuando nell’ estratto di “tannino di castagno” un prodotto avente le medesime capacità del rame di sconfiggere la peronospora.

Ovviamente le vendemmie sono completamente manuali, con operai assunti.

Non cerchiamo vinificazioni spinte dal punto di vista naturale perché il Grechetto risulta di difficile lavorazione, le gradazioni alcoliche arrivano fino al 14%vol.
Essendo un’uva ricca di polifenoli, le fermentazioni devono essere condotte con attenzione e precisione, utilizzando lieviti selezionati, facendo decantazione dei mosti e vinificazione senza macerazione.
Se vogliamo portare nel bicchiere il “terroir” tramite il Grechetto, gli accorgimenti da prendere sono questi.
Per quanto riguarda i vasi vinari, utilizziamo acciaio e barrique di rovere francese.

Può descrivere la morfologia dei terreni su cui le vostre vigne hanno affondato le proprie radici?

G.M. L’area è quella definita “Tuscia Viterbese”, un tempo abitati dagli Etruschi.

Il nome Tuscia deriva dai Romani, frequenti a definire gli Etruschi “Tusci” e la particolarità di quest’area collocata pressoché nel centro Italia, con confini che vanno dal Lazio all’Umbria, fino a sconfinare in Toscana, è di accerchiare il lago di Bolsena (il più grande lago vulcanico d’Europa) quindi terreno influenzato  nei secoli da attività vulcaniche. È facile immaginare cosa possiamo ritrovare nei vini, mineralità e complessità olfattiva.

Definita la storia e la morfologia dei terreni, qual è l’idea di vino che Mottura propone sul mercato?

G.M. Principalmente consideriamo la nostra area a forte vocazione bianchista, vogliamo riportare in alto in nome dell’Orvieto DOC (oggi purtroppo denominazione poco considerata), in cui Civitella d’Agliano è uno dei cinque comuni laziali nei confini di questa DOC. Pensate tra gli anni ’70 ’80 ’90 il vino più richiesto in queste zone era l’Orvieto DOC e qualsiasi produttore del territorio realizzava bianchi di questa tipologia.
Inoltre, mio padre si concentrò su un vitigno particolare quale il Grechetto, usato solo in assemblaggio ad altri vitigni.
Si accorse che nei confini di Civitella d’Agliano, l’uva Grechetto esprimeva (ed esprime ancora oggi) una qualità nettamente superiore ad altri vitigni. Dal 1960 l’idea rimane quella di vini da uva Grechetto massimizzando la qualità ottenibile da quest’uva bianca.
Nel 1970 viene realizzato “Poggio della Costa” un vigneto che ancora oggi regala moltissime soddisfazioni grazie a vini premiati da varie critiche.
Curiosità riguardo alla scelta del Grechetto: Sergio non andò dal vivaista a scegliere le barbatelle ma fece un’approfondita ricerca tra i mezzadri valutando la migliore tipologia di Grechetto tramandato negli anni.
Trovata la varietà, impiantò vite americana innestando l’eletta tipologia, creando la vigna dove oggi manteniamo la varietà di Grechetto e forniamo le “marze” ad altri vignaioli.

I 3 vini che rappresentano di più l’azienda sono i 3 Grechetto in purezza:

“Poggio della Costa”, “La Torre a Civitella”, “Muffo” il nostro muffato, ottenuto da uve botritizzate, senza dimenticare chiaramente i due Orvieto DOC (Tragugnano e Orvieto secco), che completano l’85% della produzione di Mottura. Il restante 15% sono i 6 ettari di vitigni a bacca rossa di nostro possedimento.
Come detto, i due Grechetto si contendono ogni anno i migliori riconoscimenti, ma la cosa più importante per noi è che ogni bottiglia deve esprimere la nostra ideologia di lavoro, l’approccio biologico in vigna, la filosofia sostenibile della nostra azienda, insomma il cosidetto “terroir”.

Cosa vede nel futuro dell’azienda Mottura?

G.M.: Oltre che l’obiettivo primissimo della sostenibilità ecologica, l’altro aspetto su cui ci concentreremo e quello che ci riesce meglio, fare ottimi vini bianchi con l’uva Grechetto.

Le sperimentazioni delle uve sono concluse, conosciamo l’alto potenziale delle terre e dell’uva, lavoreremo il Grechetto, lo sperimenteremo sotto altre vesti grazie a diverse vinificazioni per alzare ancora la qualità di questo fantastico prodotto.

Nel futuro, il Lazio in che modo può e potrà esprimere la massima qualità dei vini?

G.M. Il futuro del Lazio si gioca sulla capacità visionaria dei produttori e soprattutto alla creazione di denominazioni “forti”. L’unità e il lavoro coeso aiuteranno a raggiungere l’obiettivo, come fecero Piemonte e Toscana     (per citare le più famose), dove ogni produttore crea un vino riconoscibile e distintivo del territorio, lavorando secondo un metodo consolidato di quella denominazione. L’individualità di una singola azienda porta alla creazione di grandissimi vini, ma reca un forte limite alla regione Lazio, in quanto non favorisce la territorialità.

Qualche consiglio in merito a piatti particolari regionali da abbinare ai vini di vostra produzione?

G.M.: Il Grechetto è una delle poche uve con alta quantità di polifenoli, il che permette di ottenere vini dalla grande struttura e paradossalmente una notevole “sensazione tannica”. Potenza e struttura sono i suoi marchi distintivi, per cui si abbina benissimo con le paste romane come gricia, amatriciana, carbonara, cacio e pepe, piatti che richiedono un vino bianco con grande struttura, per contrastare le sensazioni aromatiche e di grassezza propri di questi piatti e il Grechetto può tranquillamente recitare un ruolo da protagonista nell’abbinamento.
Il viaggio in questa terra laziale per oggi è concluso.
Abbiamo conosciuto un produttore in “Terra Etrusca”, innamorato del Grechetto e deciso a difenderne e valorizzarne la qualità, creando vini ricercati e pluri premiati, con la speranza che il Lazio possa finalmente essere riconosciuta tra le prime regioni vinicole.

Ringraziamo Giuseppe per la gentilissima collaborazione e il tempo dedicatoci, una persona squisita, innamorata del proprio lavoro, della propria azienda e del Grechetto.

Di seguito i recapiti di “Az. Agr. Sergio Mottura”

Sergio Mottura Cantina

Strada Ombricolo,

01020 Civitella D’agliano (VT )

 Tel. 0761 914533

Web:sergiomottura.com

Mail: vini@motturasergio.com

Articolo scritto e curato da Simone Della Torre